giovedì 31 dicembre 2009

Carneficina in salotto


Bel modo per finire l'anno. Una serata a teatro.
Lo devono aver pensato in tanti l'altra sera, perché il Teatro Eliseo è stracolmo. Un pienone quasi inaspettato per un lavoro di cui non si sta parlando molto sui giornali. Eppure...

"Il dio della carneficina" è una commedia scritta dalla francese Yasmina Reza (genitori ebrei di origine iraniana e ungherese) che ha già avuto edizioni in molte lingue, tra le quali quella in inglese (God of Carnage) tradotta da Christopher Hampton (il regista dell'indimenticabile "Carrington").
I personaggi nelle varie edizioni hanno goduto dell'interpretazione di grandi attori quali Ralph Fiennes (Inghilterra), Jeff Daniels e James Gandolfini (USA), Isabelle Huppert (Francia)....
Tra i vari riconoscimenti ricevuti il Laurence Olivier Award ed il Tony Award, entrambi nel 2009. Mica uno scherzo.
La vicenda narra di due coppie che si incontrano a seguito di una lite tra i rispettivi figli undicenni. Provano inizialmente a trovare un chiarimento civile, ma la vera natura dei singoli non tarda a venire alla luce, fino ad arrivare a mettere in discussione ogni aspetto delle proprie esistenze.
La versione italiana (tradotta da Alessandra Serra) parte già con il piede giusto nel momento in cui si sceglie a dirigere Roberto Andò, uno dei più francesi tra i nostri registi. Ma quella che mi sembra particolarmente centrata è la scelta dei quattro attori: da un lato la coppia borghese-progressista formata da Silvio Orlando e Anna Bonaiuto, che appare mossa da intenti di giustizia e convivenza civile, mentre a fare da contraltare sono i più giovani e superficiali Alessio Boni e Michela Cescon.
I dialoghi sono serrati e ben costruiti, e i quattro sono bravissimi nel costruire l'identità dei propri personaggi dosando sguardi e pause, senza mai cadere nel rischio di un eccesso di caratterizzazione. Se ormai Orlando e la Bonaiuto sono veri e propri mostri sacri della scena e siamo abituati (per così dire) a prove magistrali, la coppia Boni-Cescon invece mi ha sorpreso per maturità e sensibilità:
la Cescon (della quale ricordo un magnifico Cuore sacro di Ozpetek al cinema) riesce a tradurre benissimo il disagio latente di una donna non intelligentissima, mentre Alessio Boni sa fondere alla perfezione l'arroganza dell'uomo di successo (senza scrupoli, come la casa farmaceutica per cui lavora) alla capacità tutta maschile di fare fronte comune per difendersi dalle responsabilità che una famiglia impone.
Non mancano le battute memorabili ("La vita di coppia è la prova più disumana a cui Dio ci ha sottoposto") e gli applausi arrivano anche a scena aperta. E' un saliscendi di toni ed emozioni che si inseguono e si intensificano, anche perché il tasso alcolico dei personaggi sale nel finale, rivelando gli aspetti più nascosti nell'indole di ognuno.
Bella la scenografia circolare che non varia per tutta l'ora e mezza di durata dello spettacolo (senza intervallo), tranne che per il colore del fondale che passa dal rosso al verde.
Indubbiamente una grande produzione di qualità per il teatro italiano che, dopo Roma (dove rimarrà fino al 10 gennaio), continuerà la tournée in giro per l'Italia: fossi in voi non me la lascerei scappare.
PS: l'edizione italiana del testo è pubblicata in Italia da Arcadia&Ricono.

lunedì 28 dicembre 2009

Te recuerdo Victor


Non si può dire che Victor Jara sia particolarmente conosciuto dalle nostre parti. Anche chi ne ha sentito parlare, come il sottoscritto, magari ne conosce solo pochi brani, quelli più famosi.
Eppure non sono state poche le occasioni nelle quali si è cercato di dare lustro a questo straordinario poeta/cantautore cileno, vittima della repressione di Pinochet nel 1973 non ultimi l'album "Conosci Victor Jara?" di Daniele Sepe o "Il giorno del falco" di Pippo Pollina.
Una delle difficoltà principali per una maggiore diffusione dell'opera di Jara è rappresentata dalla lingua, questo devono aver pensato Gianni 'Donvito' Donnigio e Sebastiano Cuscito nel dare vita al progetto Manifesto di Victor. Si tratta di un lavoro che il duo ha messo in piedi partendo dalle canzoni di Victor Jara e che traduce in italiano (con attenzione e rispetto) i suoi testi. Dopo un periodo di prove per affinare anche le sonorità con cui presentare il progetto, il 19 dicembre scorso c'è stato l'esordio dal vivo in occasione della festa "Indovina chi viene a pranzo?" organizzata presso la Città dell'Utopia di Roma. Gianni e Sebiano vanno in scena dopo l'esibizione della "Banda Tom Joad" (analogo progetto dedicato a Bruce Springsteen, di cui parleremo prossimamente).
Fa freddo e il cielo promette pioggia, ma il Manifesto riscalda i cuori con una serie di esecuzioni bellissime anche se osteggiate da problemi tecnici (di amplificazione) e logistici (un giovinastro ottenebrato e con occhiali da sole, che pretende di uscire con la macchina dal piazzale destinato al mercato e al concerto... no comment).

Colpiscono nel segno le versioni di "Luchin" e "Herminda de la victoria", con Donnigio all'acustica che canta in maniera appassionata e appassionante e Sebiano che riesce a fondere la sonorità dark-wave del basso e l'e-bow della chitarra elettrica con la matrice espressamente latina dei brani. E' proprio questo il punto di forza del progetto: non una sterile riproposizione di ciò che è stato Jara, bensì una riscoperta che non nasconde il fatto che siano passati 40 anni. Sarebbe ridicolo un effetto nostalgia per qualcosa che non abbiamo vissuto, mentre risulta bellissimo scoprire quanto ci sia ancora di bello nella musica di Victor Jara.
Vi invito quindi ad approfondirne la conoscenza sulla pagina myspace e nel video di "Il giorno del falco / Manifiesto"... in attesa di notizie sulle prossime date.


giovedì 19 novembre 2009

E' nato Niro

Le cose migliori accadono in maniera quasi fortuita ed il caso ci offre occasioni che altrimenti ci sfuggirebbero. E' stato così che ho scoperto un mese fa The Niro.
Sul CD allegato a XL di Repubblica del mese scorso c'era un brano che volevo assolutamente ascoltare, l'esordio dei Beautiful (il nuovo gruppo di Gianni Maroccolo).
L'album è registrato dal vivo a Livorno per ricordare i 40 anni dal concerto di Woodstock. In realtà si tratta di un disco buonino ma niente più, ma fin dal primo ascolto mi colpisce una gemma inaspettata, di valore assoluto: la versione di Summertime (ricordate Janis Joplin?) eseguita da The Niro.

Stento ancora a credere alle mie orecchie, uno dei brani che preferisco in assoluto rivisitato in dimensioni nuove, magnifiche, appassionanti e appassionate.
La molla è scattata. Chi cavolo è The Niro?
Non resta che mettersi alla ricerca con l'aiuto di internet e scoprire che si tratta di un giovane musicista romano di Capannelle di nome Davide Combusti: un autentico cavallo di razza se mi passate il giochino di parole. Ha pubblicato un album, un ep e ha partecipato a varie compilation. Il nome d'arte gli resta appiccicato dalla precedente esperienza di gruppo. L'inizio è dietro i tamburi ma ben presto si dimostra abile con la chitarra ed il basso, fino a mettere in luce doti canore d'eccezione. Poi concerti a profusione in Italia e all'estero, anche come spalla di Carmen Consoli, fino al contratto discografico con la Universal.
Parte la caccia all'album, che finalmente mi procuro.
Nonostante l'edizione per una major, si tratta di una confezione un po' povera, in cartone, messa in vendita a 15 euro e 90, ma per un esordio va benissimo. Quello che conta è il disco.
E qui viene il bello: un contenuto che supera ogni aspettativa. Suonato talmente bene che non sfigura affatto vicino a produzioni internazionali più blasonate, con brani vari e dinamici che rivelano un'ispirazione davvero felice.

I testi in inglese sono intrisi di una musicalità naturale che il cantato estremamente personale rende particolarmente fascinosi. Qua e là emerge qualche lieve ingenuità compositiva, talmente lieve che non riesce mai a diventare un difetto.
The Niro ha riversato in questo primo album omonimo tutto ciò che ha assorbito negli anni: un po' come una spugna ha raccolto sensazioni, stili e armonie, ed ora ce le ripropone dopo averle filtrate attraverso la propria sensibilità. Un lavoro bello e sincero dal quale si stagliano brani di bellezza assoluta, quali "Liar", "About Love and Indifference" e "An Ordinary Man" (i link sono alla pagina ufficiale su youtube).
Colpisce poi che The Niro si sia avvalso di altri musicisti solo in alcune circostanze: dal libretto si nota infatti che è l'autore stesso a suonare chitarre, bassi, tastiere, batteria, percussioni, armonica e banjo! One-man band nen vero senso del termine!
Non ci sono mode nel suono del bravo Combusti, il suono è compatto ma raffinato, riecheggia di anni nei quali l'amplificatore a valvole riscaldava le corde elettriche, ma la freschezza della proposta non lascia spazio a nostalgie. Dopo aver presentato l'album dalle nostre parti, The Niro è andato anche all'estero ottenendo consensi in Inghilterra, Francia e Stati Uniti.
Vale la pena di ascoltare questo disco che avrei eletto a disco dell'anno se non l'avessi scoperto in ritardo (è uscito nel maggio 2008!) e soprattutto di attendere la prossima prova di The Niro che è attesa per l'inizio del 2010.


venerdì 6 novembre 2009

Tre volte Pollina


E' stato un mese intenso per un appassionato di Pippo Pollina come me. Prima il nuovo cd dal vivo, poi una tournée con orchestra ed infine una manciata di date da solo.
Ho scelto di aspettare di concludere il trittico per riunire in un'unica considerazione questi eventi, contraddistinti da un sapore agrodolce. Vediamo un po' perché...

Il 2 ottobre è uscito "Tra due isole", il suo nuovo album live (dopo "Racconti e canzoni" del 2006, "Ultimo volo" del 2007 e "Ancora insieme" (con Linard Bardill) del 2008).

Registrato a Zurigo lo scorso settembre, documenta la prima data della tournée insieme all'orchestra del Conservatorio di Zurigo, che celebra i 25 anni di carriera. Un bel regalo della città di Zurigo e un bel modo per fare festa partendo dalle due isole del titolo, che sono poi le due radici di Pippo: la Sicilia e la Svizzera. In attesa di vederlo di persona, sono deciso a godermi la performance in CD.
Nell'insieme è un gran bel disco. Le orchestrazioni sono curate dal maestro Matesic, che sembra rivelare in molte parti una forte passione per Rossini ed i suoi crescendo. Il lavoro sui brani per renderli "orchestrali" è ben fatto: il risultato non snatura le canzoni di Pippo, anzi in un paio di occasioni (Sambadiò e I ragazzi della via Paal) si notano piacevoli evoluzioni sonore che impreziosiscono i brani, donandogli addirittura nuova linfa. Ma quello che più mi colpisce è, in generale, la straordinaria universalità dei brani di Pollina, che negli anni subiscono senza colpo ferire cambi di arrangiamento e di interpretazione, eppure restano sempre gradevolissimi proprio per la loro bellezza intrinseca.
Qualche perplessità mi deriva invece dalla registrazione. Va detto che un live con orchestra è difficilissimo da realizzare: c'è sempre il rischio di impastare gli strumenti a causa della problematica gestione dei microfoni. Il CD in questione infatti rivela qualche incoerenza nei suoni (la batteria ad esempio), alla quale c'è poi da aggiungere una difficoltà ulteriore: i fiati suonati da elementi giovani sono quasi sempre poco potenti, e infatti qua e là il suono registrato appare un po' sgonfio. Probabilmente un lavoro di missaggio più attento avrebbe potuto migliorare il risultato, ma forse la voglia di pubblicare l'album a distanza di neanche un mese dalla registrazione può avere influito. Ecco, nel risultato finale traspare un po' di fretta (anche nello scrivere i titoli in copertina, dove sfugge un "quì" con l'accento...), ma si tratta di peccati veniali in un lavoro altrimenti di alto livello artistico.


Dopo due settimane di ripetuti ascolti riesco a godermi l'esperienza di vedere dal vivo Pippo ed orchestra. Saltata la prevista data di Roma, ripiego su quella di Orvieto (120 km di differenza, ma non voglio perdermi questo tour).
Il teatro Mancinelli è bellissimo, pieno di affreschi e stucchi, dal sapore antico e nobile. Il pubblico è abbastanza numeroso ma un po' anomalo per un concerto di Pollina: sono in molte le persone attratte dall'evento e dalla presenza di un'orchestra sinfonica, ma non si tratta necessariamente di fans di Pippo. Questo aspetto si nota un po' nella estrema compostezza con cui seguono il concerto (i miei ripetuti "Bravo" vengono tollerati da sguardi sorpresi).
La scaletta ripercorre quella del disco live, anche se la dinamica acustica di un'orchestra dal vivo è completamente un'altra cosa, tutto è molto più emozionante. Eppure la scelta di amplificare tutti i suoni mi disorienta un po': è innaturale vedere gli strumenti da un lato e sentire il suono dall'altro, anche se forse nei posti centrali questo effetto si minimizza.
Matesic dirige alla grande, i ragazzi non gli tolgono gli occhi di dosso e l'atmosfera generale è di divertimento collettivo. Mi piacciono i visi dei ragazzi vestiti da orchestrali, in loro c'è un misto di ingenuità, furbizia, speranza, allegria ed emozione. Una bella gioventù. Pippo scherza con loro e li mette a proprio agio, e loro ricambiano mettendogli a disposizione tutto quello che è stato il loro studio in questi anni. Un'esperimento che si dimostra riuscito, e che mi auguro possa ripetersi in futuro, che fa bene alla musica e al cuore.
I brani si susseguono, emozionando. Come nella straordinaria Marrakesh (il video è qui) o ne Il giorno del falco... da spellarsi le mani (se vi interessa qui c'è anche Signore da qui si domina la valle sempre dal concerto di Orvieto).

Mi trovo a riflettere ancora una volta su quello che è Pippo Pollina, un discorso fatto tante volte. Tra i cantautori italiani della sua generazione è ai vertici assoluti, eppure un tour importante come questo trova tante ambientazioni di provincia, ma "liscia" città come Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli e Bari. Era un'occasione d'oro per consentire di ampliare il pubblico in Italia, dove continua ad essere conosciuto solo dai soliti "beneinformati", e invece no. Oltretutto stavolta c'è stata pure una buona presenza in radio e TV (soprattutto Rai) che in precedenza raramente lo avevano ospitato. E' questo il rammarico maggiore dopo una serata fantastica come quella di Orvieto.

Ma il calendario non dà tregua. A Roma in qualche modo ci si arriva, come da proverbio. Un concerto "à la carte" da solo, con il pubblico che sceglie dal menu del suo canzoniere (135 brani).

La location è bizzarra: il Nuovo Teatro Colosseo, un ex-cinema riconvertito a sala teatrale, col palco asimmetrico rispetto agli spettatori (chi si siede sulla sinistra avrà di fronte una parete!).
E qui arriva la delusione più cocente (per me). In termini generali, valutando popolarità e valore artistico, un teatro da 200 posti a Roma ritengo sia piccolo per un concerto di Pollina... e invece alla fine i presenti saranno solo una cinquantina. Pazzesco.
Non ne ho le prove, ma credo che anche il buon Pippo (che, se sta leggendo, potrà commentare) deve aver accusato il colpo.
Potrà essere stata la copiosa pioggia caduta sulla capitale? Una comunicazione carente? Un posto sbagliato? Tutto questo insieme? Altro ancora? Fatto sta che ancora una volta Pippo si presenta a Roma in un giorno tradizionalmente moscio (il lunedì), in un locale fuori di ogni circuito e praticamente senza promozione (se non il passaparola di fans e amici). Significativo che la signora Carmen (che richiede Gracias a la vida) abbia conosciuto Pippo solo due settimane fa, quando è stato ospite del "TG3 - Linea notte".
Il concerto è bellissimo come sempre, ma un leggero velo di malinconia aleggia per tutta la serata. Sul palco Pippo si dimostra per quello che è: bravo!

Anche se è un concerto "à la carte", sceglie lui almeno la metà dei brani; sono curiose però alcune richieste, come una ragazza francese che chiede Ne pas se pencher au dehors senza conoscerla... e poi scopre che nella sua lingua c'è solo il titolo! Si tornano ad ascoltare tanti brani che ultimamente venivano suonati un po' meno (Pristina '99, Camminando, 19 luglio 1992, Amsterdam, ...), ma anche Bella ciao e Chiaramonte Gulfi. Con il pubblico si instaura un buon rapporto, anche nei momenti in cui i brani vengono presentati attraverso aneddoti personali dell'autore.
Tutto scorre via liscio per un'ora e mezza nella quale dimostra, una volta di più, di essere straordinario interprete e strumentista, al piano, alla chitarra e al tamburello (quest'ultimo nella sanguigna Tammurra e vuci). Due bis richiesti a gran voce e poi via.

Agrodolce dicevo all'inizio: e infatti la bellezza di sentire il sempre bravissimo Pippo Pollina lascia il posto anche ad un po' di amarezza. Posssibile che non sia possibile far conoscere come si deve (in Italia) questo straordinario cantautore? Non è arrivato forse il momento di ribalte più prestigiose? Chi si occupa di Pollina nel nostro Paese dovrà pensarci con attenzione in prospettiva futura.

PS: per l'ultima foto ed il video di 19 luglio 1992 ringrazio Sebastiano Gulisano, per il video di Bella Ciao/Chiaramonte Gulfi, Donnigio.

sabato 5 settembre 2009

Andrea non si è perso


Andrea Papetti è un cantautore marchigiano che esordisce su cd con "L'inverno a settembre". Andrea Papetti è un mio caro amico.
Chiarisco così il motivo per cui non potrò ambire ad alcuna oggettiva riflessione sul suo album.
Epperò di cose da dire ce ne sono. Eccome.
Andrea è un ragazzo dotato di grandi umanità e sensibilità, nascoste da una corazza burbera (ma non troppo). La vita gli ha fatto affrontare, finora, prove ed asperità che hanno lasciato qualche cicatrice, e questi segni sono ben visibili nelle sue canzoni. I temi che predilige sono temi legati alla passione civile e ai sentimenti forti. Ma questo non deve portare alla facile equazione che farebbe pensare al "solito" cd di un cantautore impegnato: testi tormentati, ambizione intellettuale ma musica pallosissima. Questo almeno era ciò che anch'io temevo di più. Invece no, grazie al cielo.

Sono le musiche, i suoni e gli arrangiamenti che mi sorprendono, brano dopo brano. Andrea ha impiegato cinque anni per autoprodursi, ma lo sforzo (anche economico, diciamolo) è stato ripagato dal risultato. E' stato bravo anche a scegliere un produttore artistico come Alessandro Svampa, che lo ha guidato con gusto e passione attraverso le difficoltà dell'esordio discografico, che per molti costituisce un banco di prova insormontabile.
Ad un primo ascolto emergono qua e là possibili riferimenti artistici utilizzati come fonte d'ispirazione, ma nell'insieme dimostra già una buona personalità, che si svincola da scimmiottamenti di esperienze passate in cui cadono frequentemente i cosiddetti cantautori.
In quesi anni ho fatto il tifo per lui, in alcuni momenti l'ho sentito in difficoltà e anche parecchio, tanto da pensare che forse questo album non ce l'avrebbe fatta a vedere la luce. Le etichette, e l'indistria discografica in generale, sappiamo in che modo si muovono: per autori come Papetti spazio ce n'è poco o niente. Invece Andrea ha la testa dura e dopo questa pubblicazione in proprio, forse arriverà anche una distribuzione (magari via web).

Ho ascoltato varie volte il disco, in questa settimana. Ogni volta noto qualcosa in più. Noto ad esempio che ero partito ben disposto, pronto a perdonare le inevitabili ingenuità e rozzezze di un esordio (per di più autoprodotto!) di un amico, e invece dentro "L'inverno a settembre" c'è ben poco da perdonare. Ci suonano artisti di caratura assoluta come Alessandro Svampa (per anni batteria di De Gregori), Massimo Fumanti (già con Locasciulli) o Luca Bulgarelli (stabilmente al basso con Cammariere). A tutto questo aggiungiamo Pippo Pollina, col quale duetta nella bonus track "Banneri" in dialetto siciliano(!).
Il risultato è un album vero, dove Andrea Papetti risulta finalmente per quello che è. Dopodiché potrà anche non piacere. Ci sono momenti però che difficilmente deluderanno, anche se ho difficoltà ad indicare i miei preferiti. Trovo ad esempio una delizia la piccola gemma che arriva al numero 10, "Ninna nanna": dove viene fuori tutta la tenerezza di un ragazzino (l'Andrea di qualche anno fa) e dove i toni sono soffici di ricordi e malinconie. Ma anche la dedica ad Enzo Baldoni nella cruda "Inferno Baghdad" e la coinvolgente "Vanilla Sky" che mi piacerebbe sentire presto dal vivo. Senza parlare della sofferta titletrack "L'inverno a settembre" dedicata (come tutto l'album) alla mamma di Andrea.
Una menzione a parte la merita la bella copertina dell'album curata dal collega cantautore ed amico Fabrizio Emigli: e pensare che negli anni '70 gli album di (Fausto) Papetti andavano a ruba grazie anche alle copertine sexy... ma questo è un altro discorso.
Quello che conta è un brillantissimo disco d'esordio, che spero abbia presto la possibilità di essere presentato anche con concerti dal vivo.
Bravo Andrea. Oggettivamente.

PS: chi volesse ordinare il cd può mettersi in contatto con Andrea Papetti (andreapapetti@alice.it)

martedì 25 agosto 2009

Ritmi marittimi


Fa un certo effetto pensare che l’ultima volta in cui ho visto Tony Esposito dal vivo era 25 anni fa allo Sferisterio comunale di Cuneo: la tournée di Kalimba de Luna.
Oggi invece lo ritrovo a Termoli, in Molise, per la festa in piazza della notte di ferragosto. Ogni anno sul lungomare arriva un gruppo (per lo più di “vecchie glorie”) per intrattenere il pubblico numerosissimo prima del tradizionale spettacolo pirotecnico dell’Incendio del castello, a mezzanotte.

Quando, dopo le 22, Tony sale sul palco con la sua band si assiste invece ad uno spettacolo che non è affatto da vecchia gloria. Fa piacere vedere come gli anni siano stati benevoli con un Esposito in ottima forma circondato da bravi musicisti dei quali non sono stato in grado di comprendere i nomi (a proposito: i fonici qualche sforzo in più potevano farlo...). Tony al centro del palco è il regista di ogni singolo strumento: gesticola, ammicca, indica… e i musicisti lo seguono, come guidati a distanza, pronti a ricevere l’imbeccata. Tra le percussioni tradizionali ed etniche spicca anche una drum machine, che consente di ampliare all’inverosimile il colore che il percussionista dà ai propri brani.
La scaletta spazianel repertorio del Nostro, attraverso le musiche (alcuni famosissime) che hanno costellato la decennale carriera del nostro: Tierra, Pagaia (sigla di Domenica In nell’82), Kalimba de Luna (disco per l’estate 1984), Sinué, …

Tony Esposito come artista è sempre stato alla ricerca di mezzi con cui esprimersi, prova ne sono i fondali che sono ricavati da sue pitture. Il pubblico gradisce e segue applaudendo con passione, ricambiando il calore che emanano i musicisti sul palco. Qualcuno prova pure a lanciare complimenti in stile partenopeo (“Tony… tu si’ a freschezz’e Napule!”). Ma la musica di Tony non è circoscrivibile ad un’area: è davvero “musica del mondo” con influssi mediterranei, caraibici, brasiliani. Il lungo viaggiare degli scorsi anni è rimasto dentro alle sue note. Il mare è la connotazione che maggiormente unisce i suoi brani, e sentirli suonare a pochi metri dalla riva con un’aria carica di salsedine aggiunge un tocco di fascino in più. Il concerto scorre via con piacevolezza mettendo in risalto ritmi e atmosfere che abbiamo imparato ad apprezzare negli anni. Ma è quasi mezzanotte. Bisogna lasciare spazio ai fuochi d’artificio. Peccato, saremmo rimasti volentieri.
PS: le foto allegate sono quelle che ho scattato alla serata termolese. Il set completo è sul mio account flickr.

mercoledì 5 agosto 2009

L'Orlando grandioso


Per fortuna esistono ancora le arene estive, che mi consentono il recupero in extremis di film che altrimenti sarei costretto a vedere solo sul piccolo schermo.
Approfittando della tempestiva segnalazione dell'ineffabile Donnigio, riesco così a vedere Il papà di Giovanna di Pupi Avati, a quasi un anno dall'uscita nelle sale! Di questa pellicola si è molto parlato in occasione della partecipazione al Festival di Venezia e del premio assegnato a Silvio Orlando: in effetti non sono pochi i motivi per inserirla tra la migliore produzione cinematografica della stagione appena passata.
Pupi Avati quando centra una storia riesce a raggiungere livelli narrativi eccezionali e "Il papà di Giovanna" costituisce una delle sue migliori prove di sempre. Dopo appena due giorni, non ho resistito e ho rivisto il film in DVD, potendone così assaporare ulteriori sfumature.
Potrei provare a farne una recensione più organica, ma preferisco sottoporvi le mie disordinate emozioni, frutto una visione più approfondita 
del film:
  • La Bologna a cavallo della II guerra mondiale è descritta con discrezione, quasi a cercare di elevare la storia ad un livello più universale. Riecheggiano i momenti terribili degli anni '40 e con maestria Avati ci propone lo svolgersi in parallelo di un duplice vortice di follia: quella di una ragazza che scivola inesorabilmente verso un delitto efferato e quella di un'intera nazione che conosce le pagine più atroci del ventennio fascista e della guerra. Oltretutto la città emiliana è ricostruita interamente a Cinecittà, con una perizia che andrebbe sottolineata.
  • Figura di spicco nel dipanarsi della storia è Michele Casali, interpretato da Silvio Orlando. Un'interpretazione che gli è valsa giustamente la Coppa Volpi e che lo conferma tra gli attori più grandi che abbiamo in Italia. La recitazione è sempre a livelli straordinari lungo tutto l'arco del film, tanto da farmi azzardare un paragone con "colui che neanche si deve provare a confrontare": Eduardo De Filippo. Colpisce in lui la capacità di far evolvere la psicologia del personaggio attraverso le insidie (evitate) di una facile malinconia o stereotipi di pateticità: Orlando padroneggia le emozioni proprie e dello spettatore, lasciando sbalorditi per bravura ed intensità. Mostruoso.
  • Alba Rohrwacher si destreggia benissimo nei panni di una ragazza "così particolare" come Giovanna. Se è vero che le hanno scritto una parte bellissima, va anche ribadito come sia sua la capacità di farla propria fino alla verosimiglianza più totale. La battuta finale del film, quel "Mica è proibito" mi dà i brividi ancora adesso e costituisce uno dei finali più belli che abbia visto negli ultimi anni.
  • Sorprendenti, poi, gli altri interpreti: Francesca Neri e, soprattutto, Ezio Greggio. Siamo abituati a vederlo agire un po' sopra le righe in programmi televisivi come "Striscia la Notizia", eppure non potremmo immaginarlo più a suo agio nel ruolo drammatico di un uomo mite che si muove a colpi di sfumature, tra sguardi eloquenti e parole non dette. Mi auguro di vederlo nuovamente in un bel lavoro come questo.
  • dialoghi sono spontanei e non riflettono impostazioni di maniera cui spesso ricorrono le ricostruzioni cinematografiche dell'Italia fascista. Anzi è proprio la diffusa naturalezza del film che gli evita i cliché del caso.
  • Per ultimo suggerisco di far caso alle scenografie (Giuliano Pannuti) e ai costumi (Mario Carlini e Francesco Crivellini). La ricostruzione è così meticolosa ed alcuni dettagli sono così ben individuati che sembra di ritrovare le cose dei nostri nonni che abbiamo visto tante volte, ma quando ancora non erano d'antiquariato.
Un gran bel momento di cinema che probabilmente molti di voi avranno già visto. Chi fosse in ritardo come me... beh, non se lo facesse scappare.

venerdì 3 luglio 2009

Purtroppo Gianni/Giorgio/Giovanni Rinunciano


Esistono vari modi per dirsi addio. Con le lacrime ed i singhiozzi, oppure con rabbia, violenza e rancore, ma anche con indifferenza o distacco o addirittura sollievo.
Raramente gli addii hanno il crisma della creatività.
E' questo invece il caso dell'ultimo album dei PGR di Gianni Maroccolo, Giorgio Canali e Giovanni Lindo Ferretti, intitolato "Ultime notizie di cronaca".
Eviterò ora di ripetere le origini del gruppo (CCCP, Litfiba, CSI, i primi PGR, ...) per evidenziare solo la bellezza di questo lavoro. Il contratto in scadenza con la casa discografica e gli obblighi connessi avrebbero potuto portare ad una mesta conclusione dell'avventura, ma i nostri tre non sono artisti qualsiasi, e lo si capisce anche da questo. Registrano insieme per l'ultima volta e danno conclusione alla storia con nove meravigliosi "articoli di cronaca". Ogni brano è infatti cronaca di... qualche cosa, che nei testi attiene a quell'universo ferrettiano, ed abbiamo imparato ad amare negli anni: la vita montana, la guerra, il rapporto con il divino. Brividi sparsi e meditazioni sommesse. Mi ha affascinato in particolare "Cronaca filiale" dove le parole (vi invito a leggerle al più presto) rappresentano una delle dichiarazioni d'amore più alte che abbia mai letto, parole che credo ogni madre vorrebbe sentirsi dire ad una certa età.

E' un Ferretti contemplativo l'autore dei versi dell'album: un uomo che davanti all'addio cerca valori assoluti, tirando le somme di ciò che è stato provando ad immaginare ciò che seguirà.
Ed è straordinaria la sintonia con i due compagni che curano il versante musicale.
Sebbene all'ultimo atto i tre sono ancora una cosa sola, un gruppo vero con qualcosa da dire. Le note stropicciate da tecnologie elettriche ed elettroniche sono perfettamente allineate al clima creato dai testi, in un'offerta di suoni e vibrazioni che lavorano sulle emozioni di chi ascolta.
Sembra prepotente l'ispirazione più sperimentale di Maroccolo che trascina con sé le chitarre di Canali che esprimono un suono particolarmente scarnificato.
Non facile il disco. Affatto.
Eppure resta dentro dal primo ascolto: non certo per le melodie orecchiabili, ma per il clima generale. Un album vero, insomma, dove ogni brano è una sfaccettatura che si arricchisce solo in presenza degli altri.
Adesso seguiranno altre storie e probabilmente ci innamoreremo dei nuovi progetti dei nostri (occhio al progetto "Beautiful"!): questo capitolo però resterà tra i momenti più intimi ed intensi di tutta la loro produzione. Grazie.

P.S.: Nei link qui accanto trovate quello al blog di Gianni Maroccolo. Tanto per approfondire un po'... vero Marok?

domenica 24 maggio 2009

Riporto tutto a casa


Storie buffe. Storie notturne.
Capita di tornare a casa da un cinema dopo mezzanotte. La carrozza si è già trasformata in zucca e allora ti incammini in compagnia di un amico musicante e di suoi quattro compari dediti al culto della fotografia in movimento.
Si parla di cose realizzate e magicamente dalla borsa salta fuori un dvd con un cortometraggio che ha partecipato a vari festival tra il 2008 e il 2009: si chiama "Riporto e Riparto" e gli autori sono i due compagni di strada Nicola Visotto ed Andrea Lo Coco, mentre il mio amico Donnigio ha composto le musiche. A Trastevere le strade si dividono con la promessa di una recensione. E' tardi e attendo fino al giorno dopo per vedere il piccolo dono confezionato da "mani sapienti" (vedi la foto accanto).
Parto dalla fine: l'ho visto quattro volte di seguito. Un corto fresco, piacevole, ironico e surreale. Una prova semplice e affatto banale girata in super8, con uno stile tanto spiliato da apparire senza riferimenti temporali. Merito anche dell'utilizzo della musica, che non si limita ad accompagnare ma è decisamente protagonista nella narrazione. In alcuni momenti sembra addirittura un videoclip, con montaggio veloce e cadenzato che asseconda il tema musicale.
Il ruolo degli attori è più circoscritto, volutamente, con il fioraio Mario che ricorda un po' il Pasquale Zagaria che ama la mamma e la polizia (uno dei miei riferimenti adolescenziali). I personaggi appaiono fortemente caratterizzati, quasi da fumetto, ma sono scelti con cura per far trasparire lo spirito divertente e divertito che sta alle spalle di questo gioiellino di soli quattro minuti.
Merita poi una menzione l'animazione finale con i titoli di coda.
Penso che i corti possano fornire un'occasione vera per far capire se c'è talento dietro a chi si propone come autore cinematografico: beh, Andrea e Nicola di stoffa mostrano di averne, starà a loro concentrarsi su cosa fare per crescere in questa direzione. Ma ne riparleremo. Presto.

PS: qui di seguito trovate un divertente speciale girato da Donnigio, dedicato alla partecipazione dei nostri al Festival di Ascoli.

lunedì 13 aprile 2009

Sorie di fate, cavalieri, film e architetti


La commistione di stili è alla base delle ricerche artistiche che fin qui ho condiviso con voi. 
In ambito architettonico una possibile simmetria la trovo nel quartiere romano di Coppedè, che sono tornato a visitare nel giorno di Pasqua.
Gino Coppedè (1866-1927) era un architetto fiorentino che tra il 1913 ed il 1921 disegnò e diresse personalmente la realizzazione di 17 ville e 26 palazzine in un'area che adesso è stata fagocitata dal quartiere Trieste.
Coppedè era indubbiamente un sognatore, uno di quegli artisti che prendono spunto dalle realizzazioni più diverse, ma poi le rielaborano in maniera unica. Nei villini del quartiere che porta il suo nome, troviamo riferimenti simil-medievali con affreschi e stemmi araldici, lampioni in ferro battuto, sculture ed arcate che rimandano ad edifici assiro-babilonesi, giardini liberty e decorazioni art-deco. Un rischio formidabile di realizzare un'accozzaglia pacchiana, che invece resta un caso unico nell'architettura italiana del XX secolo.
L'ingresso ideale al quartiere è da via Tagliamento dove una poderosa arcata (che avrebbe bisogno di ripulitura) immette direttamente nel fulcro dell'opera di Coppedè: piazza Mincio che al centro presenta la bella fontana delle Rane, aggiunta nel'24 e disegnata dallo stesso architetto.
Colpisce immediatamente il Villino delle Fate che assomma un numero impressionante di rimandi immaginifici al Medioevo, ma in realtà contiene un'idea di base più vicina alla letteratura fantasy che alla storia vera e propria. Di sera si può anche vedere l'illuminazione appositamente disegnata da Francesca Storaro pochi anni fa, che fornisce un ulteriore tocco di magia grazie ai colori irreali.
Ecco, l'irrealtà e la fantasia sono la base di questa architettura. Prendiamo la Palazzina del Ragno: il mascherone scolpito è un rimando diretto ad edifici assiri e lo stesso dicasi per le arcate, però qui tutto è asimmetrico, passato attraverso le lenti deformanti dell'immaginazione e non sorprende affatto, in tale contesto,  il ragno art-nouveau al centro della facciata. 
Devono averlo colto molto bene anche i registi Dario Argento (che vi ha girato "L'uccello dalle piume di cristallo" del 1970 ed "Inferno"del 1980) e Richard Donner ("The Omen" del 1976).
Ma il rapporto col cinema è avvenuto anche in senso contrario: il civico 2 di piazza Mincio è un caso unico di palazzo ricavato da una scenografia. Coppedè ha infatti costruito nella realtà uno dei fondali di "Cabiria" diretto da Giovanni Pastrone nel 1914.
Il quartiere resta una storia a parte nella produzione dell'architetto fiorentino, le cui altre realizzazioni (Torino, Genova, Messina, ecc.) meriterebbero comunque di essere apprezzate ulteriormente, effettuando un'opera di riscoperta di una delle menti creative più interessanti nell'architettura del secolo scorso, ingiustamente relegato per anni al ruolo di portabandiera del kitsch.

venerdì 27 marzo 2009

Barbara nel Nuovo Mondo

Io Barbara non la conosco di persona.
E' una di quelle amicizie che nascono in rete di questi tempi, complici i vari blog, facebook, ecc. Alcuni amici in comune (in questo caso gli Yo Yo Mundi), e ti ritrovi a conoscere persone che vivono a centinaia di chilometri di distanza.
Logicamente non puoi dire di conoscere davvero quella persona, ma in ogni caso hai la percezione di passioni, gusti e sensibilità che possono evidenziare dei lati in comune con i nostri. Si crea così un embrione di amicizia che, nel caso di molte persone che ho avuto modo di conoscere in questi anni, si trasforma col tempo, e talvolta ti fa scoprire gente fantastica che non vedi l'ora di incontrare di nuovo. Da episodi del genere è nata ad esempio l'esperienza di Nuovomondo.
Barbara Zanon è una bravissima fotografa veneziana, di quelle vere che a noi semplici appassionati di fotografia fanno venire un "sano" sentimento di invidia.
In realtà so pochissime altre cose di lei: che si commuove vedendo "The Life of David Gale", che nel numero di aprile parlano di lei su "Glamour" ma soprattutto che in questo momento sta partendo per un viaggio negli Stati Uniti. Ecco. Proprio di questo viaggio volevo parlare: la macchina fotografica di Barbara nei prossimi 40 giorni esplorerà il Nuovo Mondo (un concetto che torna spesso tra i miei amici...).
Chi vuole può seguire in tempo reale il suo lavoro sul blog Fotoriflessioni che ho anche linkato qui accanto (nell'elenco blog personale). Sono certo che i miei amici che leggono queste note su Scelte e conseguenze o su Facebook avranno modo di apprezzare quello che ci manderà Barbara. Vi consiglio poi di dare un'occhiata al suo sito ufficiale dove potete vedere moltissimi scatti e farvi un'idea più completa della sua arte.
Buon viaggio.

PS per Barbara: Le foto in questo post sono di Barbara Zanon. Le ho carpite da facebook senza la tua autorizzazione perchè a quest'ora sei in aereo. Se non mi autorizzi le rimuovo al più presto.

lunedì 23 marzo 2009

Steven knows


Fan sfegatato. Ecco cosa mi descrive meglio di ogni altra cosa.
Steven Wilson ha saputo conquistarmi col tempo, avvicinandomi alle sue mille sfaccettature. Dei tanti musicisti che ammiro, Steven rispecchia molto di quello che mi piacerebbe fare di persona: passare da un genere all'altro senza problemi, attorniarsi di collaboratori straordinari, divertirsi a pubblicare album e video nei formati più diversi curando artwork innovativi, effettuare tour mondiali da rockstar alternando piccole esibizioni da club tenendo in piedi almeno tre progetti ogni anno.

Ha iniziato con lo pseudonimo Porcupine Tree, che poi si è evoluto nella celebre rock band in cui oggi militano l'ex-Japan Richard Barbieri, Colin Edwin e Gavin Harrison (anche con i King Crimson). Poi dalla collaborazione con altri musicisti sono nati prima i No-Man (con Tim Bowness), successivamente i Blackfield (con il cantautore israeliano Aviv Geffen). Ma questo che per chiunque altro sarebbe stato un superlavoro non gli ha impedito di approfondire la vena più spiccatamente sperimentale con il progetto Bass Communion, ed infine le avanguardie krautrock e spacerock in voga negli anni '70 con l'incarnazione I.E.M. (Incredible Expanding Mindfuck). Qua e là sono uscite fuori cose incatalogabili sotto il nome di Altamont (ma aveva solo 16 anni all'epoca), Karma o semplicemente Steven Wilson, oltre alle decine di collaborazioni e produzioni artistiche (sarà lui a curare la nuova edizione su cd delll'intero catalogo dei King Crimson). Tutti i maniaci come me troveranno pane per i loro denti nella straordinariamente dettagliata discografia curata da Uwe Häberle.

Ebbene dopo tutto questo tempo siamo arrivati al primo album solista del nostro caro Mr. Wilson. Il disco si chiama "Insurgentes" e già al primo ascolto dichiara di voler essere figlio di tutto quello che abbiamo detto finora. E' come se Steven Wilson avesse voluto far convivere tutte le sue molteplici passioni in un unico cd.  "Quando ho cominciato a scrivere queste canzoni, mi sono accorto in fretta che erano più adatte ad un album che portasse il mio nome. - ha detto Steven presentando il disco - Era un processo di scrittura intuitivo e quasi inconscio, che risultava come una sorta di poesia della malinconia." Sarebbe un errore però pensare a questo album come ad un collage di cose diverse ed un po' slegate tra loro perché al contrario tutto è molto compatto e legato, con riferimenti alle produzioni già citate, ma anche "ai recenti album di Thom Yorke (dei Radiohead), Portishead e Nine Inch Nails. Merito anche dei musicisti che hanno contribuito ad un suono davvero impressionante per gusto e misura: Tony Levin,  Gavin Harrison, Theo Travis, ...
La data di uscita ufficiale è il 9 marzo 2009, ma già da novembre era possibile ordinare via internet la versione cd+dvd, nella quale l'album è disponibile anche con il mix in 5.1. Visto che ora tale versione si trova normalmente in vendita vi raccomando davvero l'ascolto multicanale mediante il lettore dvd collegato all'amplificazione home theatre: un'esperienza ricchissima che vale la spesa. 
Per aggiornamenti, ulteriori informazioni e, perché no, un po' di shopping... c'è il sito ufficiale di Steven Wilson www.swhq.co.uk e quello della casa discografica (anche in italiano!) dedicato all'album.

mercoledì 11 marzo 2009

Colin alla conquista del mondo


Mi piacciono le storie piccole, quelle che parlano di persone, di rapporti umani. Le storie dove ci si conosce e ci si riconosce. Anche nella musica ho un gusto particolare nel cercare piccole realtà, spesso poco conosciute, che difficilmente entrano nel grande giro.The Decemberists sono un gruppo che ha avuto origine nel 2000 nella provincia americana (precisamente a Portland, Oregon): e si sente. Non hanno mai avuto a che fare con generi "alla moda", sono intrinsecamente indie, sul palco suonano alla grande senza grandi aiuti scenografici. In una parola: sono bravi! e tanto mi basta.

Nel loro suono si riconoscono tante influenze dal progressive anni '70 al folk irlandese, dai The Smiths ai Dexy's Midnight Runners, fino al songwriting tipicamente statunitense e a sonorità comuni a gruppi attuali come The Shins. Il tutto però talmente mescolato da diventare un qualcosa di molto personale, forse non straordinariamente innovativo, ma totalmente godibile e mai banale.Fin dall'inizio hanno pubblicato album, singoli, EP, nei formati più vari (alcuni solo in vinile), hanno preso parte a decine di compilation regalando brani inediti e cover a destra e a manca, per questo motivo ricostruire una discografia dettagliata (al di là degli album ufficiali) è abbastanza difficile.

Ogni album ha rappresentato un'evoluzione ed un miglioramento rispetto al precedente, tanto che anche la Capitol nel 2006 se ne è accorta e ne ha curato la distribuzione di "The Crane Wife", che ad oggi è il loro ultimo straordinario album. Un disco che rappresenta la summa di quanto detto finora e che gli ha dato una discreta visibilità negli Stati Uniti; almeno la metà dei brani avrebbe potuto essere un singolo di successo tanto è vero che ai loro concerti il pubblico entusiasta canta dall'inizio alla fine. Se non lo avete ancora ascoltato... beh, cosa aspettate?

Artisti a tutto-tondo, The Decemberists curano personalmente la grafica delle copertine ed i manifesti: ogni concerto ha un manifesto diverso dagli altri! Straordinaria in questo senso l'opera della pittrice Carson Ellis, moglie del cantante e frontman Colin Meloy.
Il prossimo 24 marzo esce il nuovo attesissimo disco, "The Hazards of Love", che costituirà la prova più difficile per Colin Meloy e i suoi amici: passare da un buon successo locale alla possibile ribalta internazionale. Molti gruppi in passato non hanno resistito al "salto", annacquando le proprie caratteristiche peculiari sacrificandole (ahimé) per logiche di mercato.Intanto nei giorni scorsi hanno rivelato il nuovo singolo "The Rake's Song", liberamente scaricabile in mp3 dal sito www.decemberists.com. Mi apetto molto da loro, sperando di vederli live dalle nostre parti, e sono convinto che si tratterà della ennesima prova convincente di un gruppo di cui sentiremo parlare a lungo.

PS: ho ricostruito una discografia dettagliata del gruppo, che è disponibile su richiesta.
PPS: per il concerto radiofonico di presentazione del nuovo tour hanno indetto un concorso tra i fans per il miglior manifesto. Qui sotto trovate il vincitore, ma a questo link anche gli altri partecipanti.