giovedì 31 dicembre 2009

Carneficina in salotto


Bel modo per finire l'anno. Una serata a teatro.
Lo devono aver pensato in tanti l'altra sera, perché il Teatro Eliseo è stracolmo. Un pienone quasi inaspettato per un lavoro di cui non si sta parlando molto sui giornali. Eppure...

"Il dio della carneficina" è una commedia scritta dalla francese Yasmina Reza (genitori ebrei di origine iraniana e ungherese) che ha già avuto edizioni in molte lingue, tra le quali quella in inglese (God of Carnage) tradotta da Christopher Hampton (il regista dell'indimenticabile "Carrington").
I personaggi nelle varie edizioni hanno goduto dell'interpretazione di grandi attori quali Ralph Fiennes (Inghilterra), Jeff Daniels e James Gandolfini (USA), Isabelle Huppert (Francia)....
Tra i vari riconoscimenti ricevuti il Laurence Olivier Award ed il Tony Award, entrambi nel 2009. Mica uno scherzo.
La vicenda narra di due coppie che si incontrano a seguito di una lite tra i rispettivi figli undicenni. Provano inizialmente a trovare un chiarimento civile, ma la vera natura dei singoli non tarda a venire alla luce, fino ad arrivare a mettere in discussione ogni aspetto delle proprie esistenze.
La versione italiana (tradotta da Alessandra Serra) parte già con il piede giusto nel momento in cui si sceglie a dirigere Roberto Andò, uno dei più francesi tra i nostri registi. Ma quella che mi sembra particolarmente centrata è la scelta dei quattro attori: da un lato la coppia borghese-progressista formata da Silvio Orlando e Anna Bonaiuto, che appare mossa da intenti di giustizia e convivenza civile, mentre a fare da contraltare sono i più giovani e superficiali Alessio Boni e Michela Cescon.
I dialoghi sono serrati e ben costruiti, e i quattro sono bravissimi nel costruire l'identità dei propri personaggi dosando sguardi e pause, senza mai cadere nel rischio di un eccesso di caratterizzazione. Se ormai Orlando e la Bonaiuto sono veri e propri mostri sacri della scena e siamo abituati (per così dire) a prove magistrali, la coppia Boni-Cescon invece mi ha sorpreso per maturità e sensibilità:
la Cescon (della quale ricordo un magnifico Cuore sacro di Ozpetek al cinema) riesce a tradurre benissimo il disagio latente di una donna non intelligentissima, mentre Alessio Boni sa fondere alla perfezione l'arroganza dell'uomo di successo (senza scrupoli, come la casa farmaceutica per cui lavora) alla capacità tutta maschile di fare fronte comune per difendersi dalle responsabilità che una famiglia impone.
Non mancano le battute memorabili ("La vita di coppia è la prova più disumana a cui Dio ci ha sottoposto") e gli applausi arrivano anche a scena aperta. E' un saliscendi di toni ed emozioni che si inseguono e si intensificano, anche perché il tasso alcolico dei personaggi sale nel finale, rivelando gli aspetti più nascosti nell'indole di ognuno.
Bella la scenografia circolare che non varia per tutta l'ora e mezza di durata dello spettacolo (senza intervallo), tranne che per il colore del fondale che passa dal rosso al verde.
Indubbiamente una grande produzione di qualità per il teatro italiano che, dopo Roma (dove rimarrà fino al 10 gennaio), continuerà la tournée in giro per l'Italia: fossi in voi non me la lascerei scappare.
PS: l'edizione italiana del testo è pubblicata in Italia da Arcadia&Ricono.

lunedì 28 dicembre 2009

Te recuerdo Victor


Non si può dire che Victor Jara sia particolarmente conosciuto dalle nostre parti. Anche chi ne ha sentito parlare, come il sottoscritto, magari ne conosce solo pochi brani, quelli più famosi.
Eppure non sono state poche le occasioni nelle quali si è cercato di dare lustro a questo straordinario poeta/cantautore cileno, vittima della repressione di Pinochet nel 1973 non ultimi l'album "Conosci Victor Jara?" di Daniele Sepe o "Il giorno del falco" di Pippo Pollina.
Una delle difficoltà principali per una maggiore diffusione dell'opera di Jara è rappresentata dalla lingua, questo devono aver pensato Gianni 'Donvito' Donnigio e Sebastiano Cuscito nel dare vita al progetto Manifesto di Victor. Si tratta di un lavoro che il duo ha messo in piedi partendo dalle canzoni di Victor Jara e che traduce in italiano (con attenzione e rispetto) i suoi testi. Dopo un periodo di prove per affinare anche le sonorità con cui presentare il progetto, il 19 dicembre scorso c'è stato l'esordio dal vivo in occasione della festa "Indovina chi viene a pranzo?" organizzata presso la Città dell'Utopia di Roma. Gianni e Sebiano vanno in scena dopo l'esibizione della "Banda Tom Joad" (analogo progetto dedicato a Bruce Springsteen, di cui parleremo prossimamente).
Fa freddo e il cielo promette pioggia, ma il Manifesto riscalda i cuori con una serie di esecuzioni bellissime anche se osteggiate da problemi tecnici (di amplificazione) e logistici (un giovinastro ottenebrato e con occhiali da sole, che pretende di uscire con la macchina dal piazzale destinato al mercato e al concerto... no comment).

Colpiscono nel segno le versioni di "Luchin" e "Herminda de la victoria", con Donnigio all'acustica che canta in maniera appassionata e appassionante e Sebiano che riesce a fondere la sonorità dark-wave del basso e l'e-bow della chitarra elettrica con la matrice espressamente latina dei brani. E' proprio questo il punto di forza del progetto: non una sterile riproposizione di ciò che è stato Jara, bensì una riscoperta che non nasconde il fatto che siano passati 40 anni. Sarebbe ridicolo un effetto nostalgia per qualcosa che non abbiamo vissuto, mentre risulta bellissimo scoprire quanto ci sia ancora di bello nella musica di Victor Jara.
Vi invito quindi ad approfondirne la conoscenza sulla pagina myspace e nel video di "Il giorno del falco / Manifiesto"... in attesa di notizie sulle prossime date.