venerdì 11 febbraio 2011

Casa e bottega

Precisiamo subito: non si tratta di una mostra di pittura. 
"Caravaggio - La bottega del genio", allestita a Roma nelle sale quattrocentesche di Palazzo Venezia, è un laboratorio. Il tema è quello di riuscire a ricostruire come poteva essere strutturato l'atelier romano di un artista quale Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.
E' faccenda interessante, questa, sotto molti punti di vista. Una pittura così innovativa per l'epoca mostra anche espedienti tecnici particolari, soprattutto per le famosissime luci ed ombre, che oggi potrebbero essere realizzate grazie ad una progettazione di luce artificiale per sala pose, ma che a cavallo tra il XVI e il XVII secolo dovevano essere create (o immaginate!) mediante soluzioni illuminotecniche mai viste prima. Oltretutto il Merisi non ha mai avuto veri e propri allievi a cui poter insegnare la propria arte, in quanto la cosiddetta scuola dei "caravaggeschi" in realtà si ispirava solo allo stile delle sue pitture, ma non aveva alcuna derivazione diretta dall'artista.
Non essendoci testimonianze dirette, gli allestitori hanno basato le proprie ipotesi su commenti di contemporanei quali Mancini, Bellori ed altri, ma in particolare sull'atto di pignoramento del 1605 con il quale la padrona di casa si rivalse sul Merisi che non pagava l'affitto da 4 mesi. In quell'atto abbiamo conferma che presso il proprio studio il Caravaggio utilizzava specchi (addirittura c'era uno scudo a forma di specchio!).
La mostra quindi cerca di far capire proprio questo: quanto fossero legati tra loro gli studi sull'ottica e sul controllo della luce, con il modo di dipingere così realistico che rende ancora inimitabile il pittore lombardo.
Si inizia da una sala nella quale sono riprodotti i documenti di cui abbiamo parlato, per poi passare ad un ambiente dove viene ricreato un modello in vetroresina del "Bacchino malato" a dimensione naturale. Qui si evidenzia il ruolo dell'illuminazione proveniente dalla finestra e di come sia assai probabile che l'opera sia in realtà un autoritratto effettuato utilizzando uno specchio.
Si procede poi analizzando come Caravaggio possa aver sperimentato una camera oscura con foro stenopeico (come nelle macchine fotografiche) per riprodurre soggetti statici (es. "La canestra" di frutta), aiutandosi con lenti e specchi per mantenerne la scala e le proporzioni. Erano anni di straordinario fermento nello studio dell'ottica, anni nei quali Galileo stava per costruire sistemi ottici quali i telescopi che gli consentiranno di osservare le macchie solari. Una sala pertanto è dedicata proprio a ricreare una camera oscura.
La sezione successiva è da tuffo al cuore, per chi come me è innamorato di questo artista: viene ricreato l'intero set del dipinto di "San Girolamo scrivente" (anche questo in vetro-resina). Viene simulato un taglio di luce naturale che colpisce uno specchio concavo, con il risultato di un controllo dell'emissione luminosa "a spot" come siamo abituati a vedere oggi, soprattutto in ambito teatrale. La meraviglia non termina qui: viene posizionata una tela per trovare l'angolo nel quale abbia potuto lavorare Caravaggio, ma si scopre che sarebbe un punto troppo vicino al soggetto, che gli avrebbe fatto perdere la visione d'insieme. Basta però girarsi di 180° e mettere ad uno specchio sulla parete di fronte per trovarsi davanti l'opera così come la conosciamo oggi. Impressionante.
C'è poi un'ultima sala dedicata alle ricostruzioni: ecco "Medusa" (altro probabile autoritratto) che viene plasmata grazie ad uno specchio convesso (il famoso scudo a specchio?).
La visita termina in un locale dove viene ricreato lo studio del pittore utilizzando tutti gli articoli citati nel pignoramento di cui abbiamo detto all'inizio.

Gran bella mostra, dal significato didattico intenso e coinvolgente. La raccomando a tutti gli appassionati dell'opera caravaggesca, ma anche a chi si occupa oggi di lighting design e di illuminazione, magari partecipando anche alle conferenze parallele chi si tengono il martedì ed il giovedì pomeriggio.
La mostra è aperta tutti giorni dalle 10 alle 19 (tranne il lunedì) fino al prossimo 29 maggio.

martedì 1 febbraio 2011

Storie di Cavalieri e Mujahidin



"Per fortuna c'è la musica". Così esordisce Nabil Salameh davanti al pubblico della Sala Sinopoli all'Auditorium di Roma.
Nabil, insieme a Michele Lobaccaro, guida il progetto Radiodervish, da sempre dedito all'arte della commistione di generi, lingue e culture musicali. Le radici del gruppo sono equamente divise tra Puglia e Palestina, e si nutrono in un terreno fertile per accogliere ogni influsso che si spanda dal Mediterraneo.
Con il nuovo album intitolato "Bandervish", i Radiodervish hanno raccolto un'ennesima sfida, insieme al fido tastierista Alessandro Pipino: rivestire con arrangiamenti bandistici brani vecchi e nuovi.
L'idea nasce dall'incontro con il maestro e fisarmonicista Livio Minafra e coinvolge la Banda "Giuseppe Verdi" di Sannicandro di Bari. L'idea è in realtà meno bizzarra di quanto possa sembrare inizialmente. Ultimamente capita spesso di vedere artisti (quali Peter Gabriel, Sting, ma anche Franco Battiato, Carmen Consoli, Pippo Pollina, ...) che provano a dare maggior risalto al proprio repertorio mediante arrangiamenti per orchestre sinfoniche, con risultati invero molto diversi tra loro.
In questo caso i Radiodervish puntano sull'orchestra popolare per definizione: la Banda. L'intuizione (già manifestata da Jovanotti nel tour del 1997) si dimostra particolarmente felice ed il disco, pubblicato nel giugno scorso, si fa apprezzare particolarmente, tanto da meritare il tutto esaurito in una ribalta d'eccezione come il Parco della Musica di Roma.
Il concerto inizia con brano della Banda, diretta dal maestro Loiacono, che ci porta immediatamente in paesaggi sonori tipicamente meridionali, dopodiché inizia il vero e proprio racconto musicale di Bandervish: un viaggio che colpisce dritto al cuore per passione, sensibilità, bellezza. Un viaggio d'amore e sull'amore, quello che lega uomini e popoli, generazioni e idee, musiche e religioni.
Si susseguono storie e lingue che si mescolano tra loro, fino a diventare una cosa sola attraverso la straordinaria voce di Nabil ed i suoni evocativi dell'"orchestra del popolo". A partire da "Les lions" che sfiora quelle vite che sono costrette a lasciare l'Africa loro malgrado, passando attraverso la multietnica Gerusalemme di "Ainaki", alla programmatica "Centro del Mundo" e alla delicatezza di "Ti protegge". Significativa anche la scelta di due cover: un brano medievale andaluso ("una terra dove - ricorda Nabil - convivevano serenamente le culture cristiana, araba ed ebraica") ed il tradizionale iracheno "Fogh en Nakhal" (del quale qualcuno ricorderà la versione di Battiato a Baghdad).
Per quanto mi riguarda, riesco a stento a trattenere le lacrime durante una versione di "Tancredi e Clorinda" struggente e appassionata, nella quale risulta impossibile non farsi coinvolgere dall'amore impossibile e tragico descritto nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Qui però la storia non finisce con la conversione forzata del libro, ma si apre ad un amore che si sublima nel superamento della diversità. Indimenticabile.
Non mancano momenti più "leggeri", come quando il maestro Minafra (scalzo per l'occasione) invita il pubblico ad accompagnare l'inizio e la fine di "All My Will" facendo tintinnare le proprie chiavi! Il pubblico, che in parte è tipico da auditorium (ovvero molto compassato), inizialmente mostra una certa ritrosia a lasciarsi coinvolgere, ma si vedono anche signori di una certa età divertirsi ad accompagnare il brano con il mazzo di chiavi o con il battito delle mani. "Per fortuna c'è la musica".
E il pubblico apprezza questa musica intrisa di anime ed umanità. Davanti a brani dotati di una bellezza indiscutibile come "L'esigenza" o "L'immagine di te", che chiude il concerto, scrosciano applausi ed apprezzamenti convinti. Nabil si schermisce: "Grazie! Ma così ci viziate...".
E' un clima magico e senza tempo quello che si è creato e riesce difficile accettare la fine di un'esibizione dopo appena un bis: "Abbiamo finito i brani in repertorio, a meno di non ricominciare da capo..." sembra scusarsi Nabil.
"Per fortuna c'è la musica". E i Radiodervish.