lunedì 3 febbraio 2014

Restiamo umani


Lo scorso 30 gennaio, a quasi un anno dall'uscita dell'album Human, i Radiodervish si sono esibiti alla Sala Petrassi dell'Auditorium di Roma. Non sono pochi i motivi di curiosità per questa tappa dello Human Live Tour.
Innanzitutto perché non li ho mai visti dal vivo, se non nell'incarnazione Bandervish, e poi perché l'ultimo disco l'ho trovato un po' interlocutorio, dopo gli splendidi L'immagine di te (del 2007) e Beyond the Sea (del 2009). Tra le altre cose la serata è anche in supporto dell'encomiabile UNRWA, agenzia dell'ONU che si occupa dei rifugiati palestinesi.
I Radiodervish si presentano con una formazione a quattro: i fondatori Nabil Salameh (voce e bouzouki) e Michele Lobaccaro (basso, contrabbasso e chitarra), Alessandro Pipino (ormai in pianta stabile alle tastiere, fiati e quant'altro), accompagnati da Pippo Ark D'Ambrosio (batteria e percussioni). 
L'inizio è un po' in sordina: c'è qualcosa di slegato nei suoni e Pipino si allontana brevemente alla prima pausa. In realtà si manifesta ben presto la poca integrazione della batteria col resto della band, sia come sonorità che come arrangiamenti delle percussioni. A parte questo aspetto, legato magari ai gusti personali di chi scrive, i Radiodervish stabiliscono rapidamente un contatto, un feeling con il pubblico.
La scena, sobria, è arricchita da un bella regia delle luci integrata con le proiezioni (davvero molto belle) curate e realizzate da Valerio Calsolaro.
I brani in scaletta sono un mélange di composizioni vecchie e nuove, caratterizzate come sempre dalla forte contaminazione culturale, di lingue e di genere. Momenti particolarmente forti sono "L'immagine di te", accompagnata dal coro a bocca chiusa del pubblico che al termine tributa un lunghissimo applauso, e "Velo di sposa", uno dei brani migliori dell'ultimo CD. Presentando quest'ultimo, Michele Lobaccaro racconta brevemente la tragica storia dell'artista milanese Pippa Bacca alla quale è dedicato il brano. Molto bella anche la versione dal vivo di "Istanbul" e "Lontano", struggente storia di migranti. E poi "Junoon", "Erevan", "In fondo ai tuoi occhi" e la cover partenopea "Tu si' na cosa grande".
La voce di Nabil stasera sembra ancor più calda del solito, il suo canto suadente ammorbidisce le morbide atmosfere di "Les lions", "L'esigenzae "Centro del mundo"
Una nota a parte merita il ruolo di Alessandro Pipino nella band, che assomiglia sempre più a quello di Thistlethwaite nei Waterboys, dei quali ho parlato due mesi fa: può suonare di tutto, dalle tastiere al flauto dal piano giocattolo alla fisarmonica, arricchendo di sfumature il suono del gruppo. Prezioso.
Il concerto si chiude con la toccante dedica a Vittorio Arrigoni prima di "Stay Human". Ma c'è tempo di spellarsi ancora le mani con i bis prima di un congedo davvero ricco di calore ed affetto.