lunedì 31 marzo 2014

E' stato un tempo il mondo...

Sono passati venti anni da quel 19 gennaio 1994. Ricordo nitidamente il primo ascolto di quello che potrei definire uno degli "album della vita".
All'epoca a Roma c'erano almeno tre botteghe di dischi che bazzicavo con regolarità: non c'era internet  e i dischi un po' di nicchia si andavano a cercare nei negozi specializzati. 
Quel pomeriggio, da Revolver, che era vicino a viale Trastevere, cercavo tra i cd usati quando ascoltai le prime note di "Celluloide" diffuse dall'impianto del locale. Voce profonda che mi ricordava qualcosa ... un basso martellato e pieno ... chitarre distorte ma con gusto. Chi sono? chiedo. Il commesso mi allunga la custodia in digipak sulla quale spiccano gli occhi inquietanti (ed inquieti) di Giovanni Lindo Ferretti. Consorzio Suonatori Indipendenti... ma che razza di nome è? Poi parte "Del mondo": nessun dubbio, preso.
Io i CCCP del primo periodo li reggevo poco, negli anni '80 io adoravo i Litfiba, i Diaframma (epoca Miro Sassolini), i Moda (di Andrea Chimenti) e i Violet Eves (Nicoletta Magalotti, voce meravigliosa, dove sei?). Nel '94 però non avevo più alcuna band italiana di riferimento, perché ormai sciolte o oppure svaccate come i Litfiba stessi. Quel pomeriggio, con Ko de mondo, avevo ritrovato la vita nel rock italiano ed infatti l'ho riascoltato un milione di volte: ancora oggi, dopo vent'anni, finisce spesso nel mio lettore cd.

In Bretagna
Anche la storia della realizzazione dell'album è molto interessante. I C.S.I. nascono dalle ceneri dei CCCP-Fedeli alla linea, che già nell'ultimo album (Epica Etica Etnica Pathos) avevano mostrato uno straordinario cambio di rotta e di sonorità, grazie all'arrivo dei tre toscani: Gianni Maroccolo (vero cuore musicale dei Litfiba), Giorgio Canali e Francesco Magnelli. Con loro il duo emiliano originario Ferretti-Zamboni trova completezza e organicità. Se ne resero conto tutti e capirono che bisognava far partire un progetto nuovo, nel quale tutti e cinque alla pari potessero rifondare il rock cantato in italiano.
Per scrivere e registrare Ko de mondo bisognava andare in ritiro e, quasi monasticamente, condividere vita e lavoro per alcune settimane tra agosto e settembre '93. La scelta cadde su una località bretone, Finistère, nome apocalittico evocante i concetti di fine della terra e di una dimensione altra. C'è un documentario molto interessante, girato dal fantomatico C.R. Rossmann, che testimonia la genesi dell'album.
La lune du Prajou
Musicalmente è un album granitico, nel quale tutte le parti sono consonanti e stanno bene insieme. Si parte con "A tratti" che ribadisce l'ultima chiamata per chi vuol salire a bordo: chi c'è c'è e chi non c'è non c'è. Si passa attraverso il quasi-rap di "Palpitazione tenue" per giungere alla geniale "Celluloide": un brano scioglilingua creato mettendo di seguito titoli di film. "Del mondo" rappresenta la quintessenza dell'intero album: suoni rotondi e morbidi su cui le chitarre disturbate creano graffi e ferite. Ferretti procede in un cantato che a tratti è salmodia, riflette sulla natura umana, prega e, in fondo, spera.
Arriviamo così a "Home sweet home", sorta di manifesto programmatico de I dischi del Mulo, l'etichetta creata dall'anima emiliana del gruppo che produce i quegli anni Üstmamò, Acid Folk Alleanza ed altri. La successiva "Intimisto" palesa la grande influenza del canto monastico (se non proprio gregoriano) nello stile di Ferretti e sfocia nella magnifica "Occidente", dolente e nervosa considerazione sulla nostra civiltà. Un delicato giro di basso e piano introduce la angosciata "Memorie di una testa tagliata" con cui la guerra dei Balcani irrompe cupamente nella musica dei C.S.I.: sarà poi in Linea Gotica che il tremendo conflitto diverrà protagonista (in "Cupe Vampe" ad esempio). Senza soluzione di continuità si giunge a "Finistère" che sembra un completamento della precedente: Annus orribilis in decade malefica, decade malefica i stolto secolo, secolo osceno e pavido, grondante sangue e vacuo di promesse. Il dolore sembra stemperarsi nella quasi strumentale "La lune du Prajou" (con la voce di Ginevra Di Marco, futura C.S.I. a tempo pieno, nonché moglie di Magnelli). Il titolo è ripreso dal nome del manoir bretone nel quale il disco fu registrato.
E' la volta della bellissima "In viaggio" che apre squarci ritmci e melodici guidati dal magnetico ritornello "Viaggiano i viandanti, viaggiano i perdenti, i più adatti ai mutamenti, viaggia Sua Santità". Ma il viaggio volge al termine. A conclusione del disco, una delle più belle ballate circolari di sempre: "Fuochi nella notte (di San Giovanni)". Si tratta di una jam corale ... "Così vanno le cose, così devono andare", che sembra cantata attorno ad un falò in un crescendo di partecipazione collettiva, che nel finale riprende il verso "chi c'è c'è e chi non c'è non c'è" dalla prima traccia, quasi un invito a ricominciare da capo l'ascolto.
Raccolgo l'invito.