Dal 24 febbraio al 30 maggio, Roma ospita (al Museo Dell'Ara Pacis) la mostra dedicata a Fabrizio De André, intitolata semplicemente "Fabrizio De André - La mostra".
Ne avevo sentito parlare bene in occasione del primo allestimento presso il Palazzo ducale di Genova. Bel modo per festeggiare i 70 dalla nascita, mi sono detto, e con l'occasione vado a far visitare l'altare della pace augustea ai miei pargoli.
Infatti dopo aver visto il monumento (che è lì da 2020 anni) e la nuova struttura che lo contiene (che è lì da 10 anni), scendo al piano interrato dove si svolge la mostra sul cantautore che più di ogni altro ha segnato la mia sensibilità poetica negli anni dell'adolescenza.
Tutto si svolge nella penombra, per far risaltare le scelte di un allestimento fortemente caratterizzato dalle proiezioni. Ma la maniera in cui sono disposti gli schermi della prima sala non facilita affatto i visitatori, a meno che non siano in numero inferiore ai venti (impensabile, visto il pienone da stadio). E quindi ci si ostacola nel cervellotico ping pong da un lato all'altro di schermi trasparenti, con un audio contemporaneo di quattro filmati che rendono il tutto caotico.
I video sono molto belli, realizzati con spezzoni di canzoni, interviste e riproduzioni di testi originali, ma sono sacrificati sull'altare di installazioni scenografiche belle quanto scomode. E poi l'audio: si da per scontato che la musica sia importante in queste mostre, e invece i diffusori piatti utilizzati hanno la dinamica di una radiolina!!!
Cerco invano un segnale che indichi nel buio la tenda nera da cui entrare nella seconda parte della mostra e indovino al terzo tentativo. Un corridoio largo un metro e mezzo ospita dei fantastici tavoli interattivi sui quali posare una copertina di LP, la quale viene riconosciuta da un sensore. A questo punto partono filmati relativi all'album relativo. Peccato che così si crei una lunga fila di persone con disco in mano in attesa del proprio turno.
Il corridoio prosegue con bacheche contenenti i cimeli: i 45 giri di ogni edizione, i master e gli acetati della Ricordi, quaderni di appunti autografi, pagelle scolastiche (anche cinque in italiano!!!) e persino un pianoforte sul quale Fabrizio ha composto alcuni dei primi brani. Emozionante.
Si passa poi alla sala dei tarocchi dove brevi video illustrano i personaggi della poetica di De André, basandosi sulle carte disegnate da Pepi Morgia per la scenografia del tour de "Le nuvole". Anche qui gli organizzatori danno il meglio di sé: non essendo previsto alcun posto a sedere ci si adatta come si può su sgabelli di fortuna, qualcuno prova a sedersi per terra per non disturbare la visione delle persone che stanno dietro, ma il celere servizio d'ordine gli impone di rialzarsi: bisogna lasciare vuoto il centro della stanza!
Sinceramente irritato vado nell'ultima sala in fondo. Una sala dove si proietta un mega video di 5 ore curato da Vincenzo Mollica sulla base degli archivi Rai. E' gremita all'inverosimile ed i posti a sedere sono pochissimi in confronto all'affluenza dei visitatori: le persone si calpestano, spingono, inciampano nel buio. Resisto a questa follia solo il tempo necessario per vedere (si fa per dire) "Il pescatore" suonata con la PFM. ...'Fanculo...
Non vedo l'ora di uscire ed imbocco l'ultimo corridoio che vede dei banchi ottici montati su cavalletto nei quali il visitatore può inserire delle lastre fotografiche che fanno partire filmati che descrivono 25 momenti della vita del Faber. Ma scivolo oltre... con un senso di fastidio.
Sinceramente una mostra del genere meritava una ambientazione migliore. Possibile che gli organizzatori non abbiano previsto che su De André non si può realizzare una mostra "per pochi intimi"?