Ogni tanto mi capita di dire "ho ascoltato un album bellissimo: il mio personale disco dell'anno". Poi in realtà arrivo a dicembre con almeno una decina di "dischi dell'anno". Ad ogni modo il nuovo album dei Baustelle "I Mistici dell'Occidente" entra a pieno titolo nella categoria.
Il gruppo di Montepulciano è giàtra le mie preferenze da qualche anno, ma devo dire che l'ultimo lavoro tocca livelli di pienezza e maturità ai quali neanche speravo potessero arrivare.
Il merito è indubbiamente di una vena compositiva particolarmente felice ed di una produzione certosina curata dal celebre Pat McCarthy (già tecnico del suono dei R.E.M.) insieme al cantante Francesco Bianconi. E' proprio sul fronte dei suoni e degli arrangiamenti che il disco mostra appieno i livelli eccellenti raggiunti dal gruppo.
Già sul precedente "Amen" avevamo apprezzato una ricchezza strumentistica che raramente ritroviamo in altri lavori nazionali, ma in questa occasione i Baustelle si superano, orchestrando strumenti di ogni tipo, ricorrendo (con gusto) ad elettronica e campionamenti, giocando con le melodie e le citazioni (su tutte Morricone ne "La canzone della rivoluzione"). Eppure il riferimento che mi salta maggiormente all'orecchio è più che altro un approccio, una mentalità. Si potrebbe parlare infatti di una sensibilità musicale alla Battiato, dove la ricerca del suono e delle melodie (alcune davvero contagiose) si sposa con testi curatissimi ed intelligenti.
Per quanto mi riguarda, il disco è di una compattezza granitica, non perde mai quota dall'inizio alla fine. Lo ascolto senza soluzione di continuità, arrivando a scoprire continuamente cose nuove grazie alla straordinaria ricchezza di musica e parole. Bellissimo.Trascinato da veri e propri hit come "Gli spietati" e "Le rane", il disco fa il giro di tutte le radio, divenendo (sorpresa?) disco d'oro in brevissimo tempo: e mi torna alla mente un'episodio analogo per il rock italiano, quando nel 1997 i C.S.I. raggiunsero il primo posto di vendite con "Tabula rasa elettrificata".
I Baustelle, però, non li ho ancora mai visto dal vivo. Molte delle referenze che mi arrivano non sono buone, ma li ho visti due volte in tv e non mi sono affatto dispiaciuti. Decido quindi di approfittare del concerto romano a Capannelle, in ticket con Nina Zilli.
Nina è una recente acquisizione della musica leggera nazionale, che si muove nei canoni del soul tradizionale della Tamla Motown. Difficile pensare a qualcosa di più diverso dai Baustelle. Proprio la bella Zilli apre il concerto, con un'ora di brani sicuramente piacevoli, anche se il meglio viene fuori quando esce dal ruolo un po' forzato da Aretha dei colli piacentini (anche il foulard nei capelli...) e si lascia contaminare da reggae e dub.
Ma io sono lì per i Baustelle, che finalmente (dopo un estenuante cambio palco) iniziano a suonare. I primi brani risultano penalizzati da livelli sballati nel mixer, peccato. Un po' ne risente anche il gruppo, che addirittura, al quarto brano ("San Francesco"), rischia di smarrirsi davvero: la ritmica e la voce di Bianconi sembrano andare per conto proprio. Terribile.
Allora avevano ragione i detrattori delle loro performance dal vivo?
Valutando il prosieguo del concerto direi di no. Il fatto è che i Baustelle amano arrangiamenti ricchi e orchestrazioni estremamente complesse, si presentano in otto(!!!) sul palco, e se la tecnologia di amplificazione non è perfettamente calibrata ... ecco che si rischiano le figuracce.
E infatti quando finalmente i tecnici audio riescono a riprendere il controllo del mixer la storia cambia.
Nel frattempo sono già state sparate le hit ("Le Rane" e "Gli Spietati"), ma il livello dei brani proposti continua ad essere altissimo e pesca soprattutto negli ultimi tre lavori.
Picchiano forte i Baustelle, eccome! E il pubblico ricambia con calore, eccome! Due ore serratissime nelle quali appare un po' sottotono la voce di Rachele (l'umidità?), mentre Francesco Bianconi sembra davvero a proprio agio come riferimento per gli altri musicisti. Davvero impressionante il lavoro delle chitarre, che dispensano ondate di potenza e perizia. Si riascoltano volentieri "La guerra è finita", "Colombo", "Charlie fa il surf", la vecchia "EN" e la bellissima "Il sottoscritto".
Ci si diverte sul palco e anche sotto, tanto che al termine le richieste di bis sono particolarmente intense: a questo punto (alla seconda chiamata in scena) arriva una vera gemma in regalo. Una dedica speciale alla città che ospita il concerto, che viene fatta nel presentare una variante studiata nel pomeriggio: la celebre "Piangi Roma" (clone del finale di "Passaggi a livello" di mastro Battiato!!!) viene preceduta da "Nun je dà retta Roma" (eccellente la pronuncia romanesca), a suo tempo portata al successo da Gigi Proietti. Brano attuale come non mai, col quale Bianconi auspica un "nuovo risorgimento" per questo Paese.
Nell'attesa, io mi accontento di questo "risorgimento" per il rock d'autore italiano.