martedì 1 febbraio 2011

Storie di Cavalieri e Mujahidin



"Per fortuna c'è la musica". Così esordisce Nabil Salameh davanti al pubblico della Sala Sinopoli all'Auditorium di Roma.
Nabil, insieme a Michele Lobaccaro, guida il progetto Radiodervish, da sempre dedito all'arte della commistione di generi, lingue e culture musicali. Le radici del gruppo sono equamente divise tra Puglia e Palestina, e si nutrono in un terreno fertile per accogliere ogni influsso che si spanda dal Mediterraneo.
Con il nuovo album intitolato "Bandervish", i Radiodervish hanno raccolto un'ennesima sfida, insieme al fido tastierista Alessandro Pipino: rivestire con arrangiamenti bandistici brani vecchi e nuovi.
L'idea nasce dall'incontro con il maestro e fisarmonicista Livio Minafra e coinvolge la Banda "Giuseppe Verdi" di Sannicandro di Bari. L'idea è in realtà meno bizzarra di quanto possa sembrare inizialmente. Ultimamente capita spesso di vedere artisti (quali Peter Gabriel, Sting, ma anche Franco Battiato, Carmen Consoli, Pippo Pollina, ...) che provano a dare maggior risalto al proprio repertorio mediante arrangiamenti per orchestre sinfoniche, con risultati invero molto diversi tra loro.
In questo caso i Radiodervish puntano sull'orchestra popolare per definizione: la Banda. L'intuizione (già manifestata da Jovanotti nel tour del 1997) si dimostra particolarmente felice ed il disco, pubblicato nel giugno scorso, si fa apprezzare particolarmente, tanto da meritare il tutto esaurito in una ribalta d'eccezione come il Parco della Musica di Roma.
Il concerto inizia con brano della Banda, diretta dal maestro Loiacono, che ci porta immediatamente in paesaggi sonori tipicamente meridionali, dopodiché inizia il vero e proprio racconto musicale di Bandervish: un viaggio che colpisce dritto al cuore per passione, sensibilità, bellezza. Un viaggio d'amore e sull'amore, quello che lega uomini e popoli, generazioni e idee, musiche e religioni.
Si susseguono storie e lingue che si mescolano tra loro, fino a diventare una cosa sola attraverso la straordinaria voce di Nabil ed i suoni evocativi dell'"orchestra del popolo". A partire da "Les lions" che sfiora quelle vite che sono costrette a lasciare l'Africa loro malgrado, passando attraverso la multietnica Gerusalemme di "Ainaki", alla programmatica "Centro del Mundo" e alla delicatezza di "Ti protegge". Significativa anche la scelta di due cover: un brano medievale andaluso ("una terra dove - ricorda Nabil - convivevano serenamente le culture cristiana, araba ed ebraica") ed il tradizionale iracheno "Fogh en Nakhal" (del quale qualcuno ricorderà la versione di Battiato a Baghdad).
Per quanto mi riguarda, riesco a stento a trattenere le lacrime durante una versione di "Tancredi e Clorinda" struggente e appassionata, nella quale risulta impossibile non farsi coinvolgere dall'amore impossibile e tragico descritto nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Qui però la storia non finisce con la conversione forzata del libro, ma si apre ad un amore che si sublima nel superamento della diversità. Indimenticabile.
Non mancano momenti più "leggeri", come quando il maestro Minafra (scalzo per l'occasione) invita il pubblico ad accompagnare l'inizio e la fine di "All My Will" facendo tintinnare le proprie chiavi! Il pubblico, che in parte è tipico da auditorium (ovvero molto compassato), inizialmente mostra una certa ritrosia a lasciarsi coinvolgere, ma si vedono anche signori di una certa età divertirsi ad accompagnare il brano con il mazzo di chiavi o con il battito delle mani. "Per fortuna c'è la musica".
E il pubblico apprezza questa musica intrisa di anime ed umanità. Davanti a brani dotati di una bellezza indiscutibile come "L'esigenza" o "L'immagine di te", che chiude il concerto, scrosciano applausi ed apprezzamenti convinti. Nabil si schermisce: "Grazie! Ma così ci viziate...".
E' un clima magico e senza tempo quello che si è creato e riesce difficile accettare la fine di un'esibizione dopo appena un bis: "Abbiamo finito i brani in repertorio, a meno di non ricominciare da capo..." sembra scusarsi Nabil.
"Per fortuna c'è la musica". E i Radiodervish.


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