Lo scorso 30 gennaio, a quasi un anno dall'uscita dell'album Human, i Radiodervish si sono esibiti alla Sala Petrassi dell'Auditorium di Roma. Non sono pochi i motivi di curiosità per questa tappa dello Human Live Tour.
Innanzitutto perché non li ho mai visti dal vivo, se non nell'incarnazione Bandervish, e poi perché l'ultimo disco l'ho trovato un po' interlocutorio, dopo gli splendidi L'immagine di te (del 2007) e Beyond the Sea (del 2009). Tra le altre cose la serata è anche in supporto dell'encomiabile UNRWA, agenzia dell'ONU che si occupa dei rifugiati palestinesi.
I Radiodervish si presentano con una formazione a quattro: i fondatori Nabil Salameh (voce e bouzouki) e Michele Lobaccaro (basso, contrabbasso e chitarra), Alessandro Pipino (ormai in pianta stabile alle tastiere, fiati e quant'altro), accompagnati da Pippo Ark D'Ambrosio (batteria e percussioni).
L'inizio è un po' in sordina: c'è qualcosa di slegato nei suoni e Pipino si allontana brevemente alla prima pausa. In realtà si manifesta ben presto la poca integrazione della batteria col resto della band, sia come sonorità che come arrangiamenti delle percussioni. A parte questo aspetto, legato magari ai gusti personali di chi scrive, i Radiodervish stabiliscono rapidamente un contatto, un feeling con il pubblico.
La scena, sobria, è arricchita da un bella regia delle luci integrata con le proiezioni (davvero molto belle) curate e realizzate da Valerio Calsolaro.
I brani in scaletta sono un mélange di composizioni vecchie e nuove, caratterizzate come sempre dalla forte contaminazione culturale, di lingue e di genere. Momenti particolarmente forti sono "L'immagine di te", accompagnata dal coro a bocca chiusa del pubblico che al termine tributa un lunghissimo applauso, e "Velo di sposa", uno dei brani migliori dell'ultimo CD. Presentando quest'ultimo, Michele Lobaccaro racconta brevemente la tragica storia dell'artista milanese Pippa Bacca alla quale è dedicato il brano. Molto bella anche la versione dal vivo di "Istanbul" e "Lontano", struggente storia di migranti. E poi "Junoon", "Erevan", "In fondo ai tuoi occhi" e la cover partenopea "Tu si' na cosa grande".
La voce di Nabil stasera sembra ancor più calda del solito, il suo canto suadente ammorbidisce le morbide atmosfere di "Les lions", "L'esigenza" e "Centro del mundo".
Una nota a parte merita il ruolo di Alessandro Pipino nella band, che assomiglia sempre più a quello di Thistlethwaite nei Waterboys, dei quali ho parlato due mesi fa: può suonare di tutto, dalle tastiere al flauto dal piano giocattolo alla fisarmonica, arricchendo di sfumature il suono del gruppo. Prezioso.
Il concerto si chiude con la toccante dedica a Vittorio Arrigoni prima di "Stay Human". Ma c'è tempo di spellarsi ancora le mani con i bis prima di un congedo davvero ricco di calore ed affetto.
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