mercoledì 18 dicembre 2013

Le piace Brahms?

Torno all'Auditorium a distanza di pochi giorni dal concerto di Nick Cave and the Bad Seeds, ma stavolta in un contesto del tutto diverso. Grazie ai biglietti miracolosamente procurati dalla mia signora, partecipo alla serata diretta da sir Antonio Pappano nella quale spicca il concerto per violino e orchestra di Brahms.
Va detto che nella Stagione Sinfonica dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia l'età media del pubblico è straordinariamente alta, ma ciò che più sorprende, prima dell'inizio, è l'apparente indifferenza dei partecipanti, abituati ad incontrarsi lì più per frequentazione mondana che per vero interesse. Uno sparuto gruppo di giovani alle mie spalle parla ad alta voce del campionato NBA (speriamo tacciano durante il concerto...), ma tremo davvero quando capisco che la decrepita signora con toupet (di scuola Moira Orfei) è diretta nel posto davanti al mio...
Pappano ha allestito una bella scaletta stasera: si comincia con la celebrazione dei 150 dalla nascita di Pietro Mascagni con "Visione lirica. Guardando la S.Teresa del Bernini nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma", che venne eseguita la prima volta nel 1923 a Roma (con la stessa Orchestra di Santa Cecilia diretta proprio da Mascagni). Si tratta di una composizione bellissima nella sua brevità (cinque minuti), in cui è davvero notevole la frase cantabile dei violini.
In aggiunta (vista la brevità del brano) Pappano decide di regalare un apprezzatissimo "Intermezzo" tratto dalla "Cavalleria rusticana", non incluso nel programma della serata.
La serata prosegue con un'altra celebrazione per i 10 anni dalla morte di Goffredo Petrassi. L'esecuzione del "Magnificat" vede anche l'arrivo del soprano mantovano Anna Maria Chizzoni insieme al coro dell'Accademia di Santa Cecilia. La composizione alterna fasi decisamente coinvolgenti ad altre che personalmente apprezzo meno. Tra i momenti migliori i percorsi coristici particolarmente interessanti, che rimandano ad altra musica del '900 e non necessariamente in ambito classico (alcune colonne sonore di Philip Glass e, perché no, i cori in "Atom Heart Mother" dei Pink Floyd). Meno apprezzabile invece la soprano, che non sembra a proprio agio con i passaggi iniziali della propria parte. 
Dopo un quarto d'ora di pausa arriviamo al piatto forte della serata: il "Concerto in re maggiore per violino e orchestra, op. 77" di Johannes Brahms.
Si tratta di una composizione dalla suddivisione classica, Allegro-Adagio-Allegro, nella quale il compositore di Amburgo volle inserire forti contenuti virtuosistici alla partitura del violino. Ecco perché il nome di Leonidas Kavakos, che qui è di casa dal 2005, suggerisce grandi aspettative: il quarantaseienne violinista greco è ormai considerato uno dei più grandi violinisti, in compagnia del suo Stradivari del 1724.
L'esecuzione si dimostra ben presto memorabile per la straordinaria compattezza dell'orchestra che ormai ha un feeling perfetto con Pappano e riesce ad esprimere ogni sfumatura di una direzione che tende a smussare gli eccessi. Scelta apprezzabile soprattutto in virtù delle caratteristiche di un violinista come Kavakos. Il violino si eleva a protagonista assoluto, esaltando un carattere a tratti gitano, brillante ed eccessivo. Ma con gusto. Fa impressione riuscire a sentire trilli e colpi d'archetto dalle sembianze quasi jazzistiche, sospinti da una velocità d'esecuzione rara nell'Allegro giocoso che chiude il concerto.
Pubblico entusiasta che, giustamente acclama lo straordinario binomio Pappano-Kavakos, che ringrazia eseguendo come bis un'estratto dal terzo movimento. Bravissimi.




venerdì 6 dicembre 2013

Alla corte del Re Inchiostro

E' la carica dei cinquantenni da queste parti. Stavolta tocca ai mitici Nick Cave and the Bad Seeds, il 27 novembre, all'Auditorium Parco della Musica.
Anche per loro si tratta di colmare una mia grave lacuna, poiché mi dicono da più parti che si tratta di una performance imperdibile.
"Imperdibile" è un aggettivo che da tempo viene affibbiato un po' a tutto, tant'è vero che ormai è da considerare talmente abusato da non trasmettere particolari emozioni. Eppure...

Per questo concerto, nella serissima e grandissima Sala S.Cecilia, avevo trovato gli ultimi due biglietti un paio di mesi fa, e arrivando ci si rende conto del gran pienone. L'orario previsto è alle 21, ma entrando in sala con un certo anticipo trovo già il palco occupato da una cantante che si sta esibendo in piedi mentre suona un harmonium. Si tratta di Shilpa Ray che ha appena pubblicato un e.p. dal titolo esplicito: "It's All Self Fellatio". La sua è una musica che hanno definito "gothic burlesque", e per quanto le etichette lascino il tempo che trovano, definisce abbastanza il genere. La voce è davvero bella, ma alla lunga la dimensione sonora dell'accompagnamento al solo harmonium si dimostra un po' ripetitiva.

Nick Cave and the Bad Seeds
Si fanno attendere fino alle dieci meno un quarto, ma alla fine eccoli sul palco: Nick Cave & the Bad Seeds! Partono subito con "We No Who U R", singolo tratto dall'ultimo album "Push the Sky away". Bella e intensa come la successiva "Jubilee Street", con la quale il concerto si eleva a vette che si manterranno costanti per tutta la serata. Inizialmente il pubblico è ancora seduto e la scansione a spirale del brano innalza il livello emotivo ad ogni giro: qualcuno scandisce il tempo con le mani mentre il violino di Warren Ellis diventa sempre più ipnotico, altri iniziano ad alzarsi in piedi con gli occhi incollati a Cave che si muove sul palco come una fiera imprigionata. E poi... e poi anche il nostro Nick esplode in un salto improvviso verso la platea (date un'occhiata al video). E' la scintilla che rompe ogni regola, non ci sono più posti assegnati: tutti intorno al cantante che inizia a camminare sugli schienali delle poltrone, l'unico limite è rappresentato dalla lunghezza del cavo del microfono. I Bad Seeds costruiscono un muro di suono perfettamente arrangiato e la straordinaria acustica della sala permette di coglierne le sfumature. E' la volta di una cattivissima "Tupelo", tratta da "The Firstborn is Dead" del 1984, nella quale ho apprezzato una straordinaria sezione ritmica: dominata da Barry Adamson ritornato al basso nel centro del palco dopo tanti anni, e con Thomas Wydler alla batteria e Jim Sclavunos, che si alterna fra percussioni e xilofono. Dopo "Red Right Hand" (del '94) con una istrionica serie di movenze da rockstar consumata, tocca ad una struggente "Mermaids" (tratta dall'ultimo album) che Nick canta abbracciato ad una ragazza del pubblico.
Nick Cave
Con "The Weeping Song" (una delle mie preferite da sempre) si torna dalle parti del repertorio classico del gruppo (notevoli i ricami del canuto Conway Savage alle tastiere e di George Vjestica, che è alle chitarre nella parte europea del tour), suggellato dalla antica "From Her to Eternity", selvaggia come non mai.
Il ritmo forsennato dell'inizio lascia il passo alle atmosfere più introspettive derivanti da "The Boatman's Call" del '97. Gli occhi degli spettatori sono incollati a King Ink e alla sua band, impegnati nel rito della celebrazione del concerto rock: tocca alla tenue "West Country Girl", la ballata pianistica "People Ain't No Good" che sfocia nella malinconica "Sad Waters" (che è l'unica tratta da "Your Funeral... My Trial" dell'86) e "Into My Arms" nella quale Nick abbraccia il pubblico con una voce che è un insieme di tenerezza, calore ed emozione.
Non ce ne rendiamo conto ma si va verso l'epilogo, non prima di una fantastica "Higgs Boson Blues" seguita da "The Mercy Seat". Si chiude con la nervosa e potente "Stagger Lee" presa dalle "Murder Ballads" e l'ipnosi quasi messianica di "Push the Sky Away"a metà tra inno dell'anima e melodia salvifica.
Impossibile accontentarsi qui. Siamo ancora tutti talmente esterrefatti per il livello qualitativo del concerto che la richiesta dei bis è tutto tranne che una formalità. Dopo qualche minuto tornano sul palco per quattro brani i cui titoli già dicono tutto ad ogni conoscitore della band: "God is in the House" per piano e violino, "Deanna", l'elettro-acustica e coinvolgente "Papa Won't Leave You, Henry" con una signora-fan che sale sul palco in tailleur (!?) e la conclusiva "We Real Cool" con una nuova incursione sul palco: stavolta è un fan che è invitato a duettare (che emozione...) dal nostro Cave, ma che invece rivela una ben stridula vocina. E qui si chiude per davvero: due ore di concerto tiratissime nelle quali ho apprezzato un leader in piena forma che non si è risparmiato neanche un istante, ed una band di livello assoluto, che mostra la via del rock (quello vero) a tante proposte più recenti.
Dicevamo "imperdibile" all'inizio? Beh, non troverei aggettivo migliore per una performance con tanto cuore, pathos, tecnica e, non dimentichiamolo, canzoni bellissime.

NB: i brani sottolineati aprono un link su YouTube con registrazioni tratte da questo concerto. Le foto fin qu©Musacchio & Ianniello, possono essere utilizzata esclusivamente per l' avvenimento in oggetto o per pubblicazioni riguardanti la Fondazione Musica per Roma. La foto sotto è dalla pagina Facebook di Nick Cave.
Nick Cave prima del concerto a Roma

lunedì 25 novembre 2013

25 anni fa

Chiarisco subito che il titolo non si riferisce al tempo che è passato dal mio ultimo post... anche se in effetti ho trascurato un bel po' queste pagine virtuali.

25 anni fa usciva l'album "Fisherman's Blues" dei The Waterboys. Era un compendio di due anni di sessions (dal 1986 al 1988) da cui scaturirono circa 100 brani registrati! Un disco meraviglioso già all'epoca, che ha visto susseguirsi negli anni edizioni sempre più estese che includevano gioielli non inclusi nella prima tiratura. Il mese scorso è uscita una ristampa colossale che include ben 6 CD (prezzo popolare, meno di 25€), mentre per i maniaci è stata realizzata la versione 7 CD (il settimo contiene alcune fonti di ispirazione per la band) + 1 LP (la ristampa dell'album originale in vinile). Il disco risulta uno straordinario mix di musica tradizionale scozzese, blues e country music, che non si finirebbe mai di ascoltare e che per me è stato la colonna sonora di tante giornate.
Durante le registrazioni di The Fisherman's Blues
Per festeggiare un album così particolare, i nostri eroi si sono riuniti sotto la guida di Mike Scott, il leader di sempre, ed hanno organizzato un tour che il 21 novembre scorso è arrivato a Roma, all'Auditorium Conciliazione, intitolato "Fisherman's Blues Revisited".
Riesco così a colmare la mia lacuna di non aver mai assistito ad un concerto dei Waterboys. La serata è in tema con la water del nome, infatti arrivo sotto un diluvio colossale, anche se i nostri non sono più tanto boys... Il pubblico anche è un po' attempato e la sala mostra parecchi spazi vuoti nel mezzo.
Il quasi cinquantacinquenne Mike Scott è decisamente in forma e la voce è sempre la solita: bellissima ed espressiva come (e più) di un Dylan delle highlands. Si alterna chitarrista e pianista con una freschezza ed una passione che contagiano la platea. Dopo un avvio un po' in sordina anche il pubblico partecipa con altrettanta passione. L'antica intesa con Steve Wickham (violino), Anthony Thistlethwaite (fiati e mandolino) e Trevor Hutchinson (basso e contrabbasso) si vede e si sente, come anche si nota lo straordinario supporto di Ralph Salmins (batterista negli ultimi due anni).
Mike Scott
Si parte con "Strange Boat" e poi la cover "Sweet Thing" di Van Morrison. Dopo l'inedita "Higherbound" si inseguono le note sull'onda dei ricordi: "A Girl Called Johnny" dall'album d'esordio, scritta 32 anni fa. Più avanti è la volta di "When We Will Be Married?" e a metà concerto c'è la doppietta poderosa di "Raggle Taggle Gypsy" (sì, quella maltrattata in italiano da Branduardi con "Vai cercando qua, vai cercando là"...), seguita da "We Will not Be Lovers" ed il pubblico entusiasta che si spella le mani. E' un concerto che non dà pause e Mike Scott si concede anche breve racconto per spiegare come conobbe "I'm So Lonesome I Could Cry" di Hank Williams, della quale fanno una cover struggente e appassionata. Si va verso la conclusione e arrivano brani come "Don't Bang the Drum" e "Fisherman's Blues" che  lasciano senza parole per intensità e sembrano venire da una dimensione senza tempo, tipica solo dei grandi pezzi che non invecchiano mai e che potremmo riascoltare mille e mille volte. E' il momento dei bis richiesti a gran voce da un pubblico ormai in piedi: "You In the Sky" dalle sessions di cui sopra (ma che apparve su Book of Lightning vent'anni dopo!) e  la splendida "The Whole of the Moon". Conclude "Saints and Angels".
Una serata bellissima ad opera di vecchi leoni della musica britannica che hanno sempre messo al primo posto l'attività dal vivo. E si vede.

NB: i brani sottolineati aprono un link su YouTube con registrazioni tratte da questo concerto