venerdì 6 dicembre 2013

Alla corte del Re Inchiostro

E' la carica dei cinquantenni da queste parti. Stavolta tocca ai mitici Nick Cave and the Bad Seeds, il 27 novembre, all'Auditorium Parco della Musica.
Anche per loro si tratta di colmare una mia grave lacuna, poiché mi dicono da più parti che si tratta di una performance imperdibile.
"Imperdibile" è un aggettivo che da tempo viene affibbiato un po' a tutto, tant'è vero che ormai è da considerare talmente abusato da non trasmettere particolari emozioni. Eppure...

Per questo concerto, nella serissima e grandissima Sala S.Cecilia, avevo trovato gli ultimi due biglietti un paio di mesi fa, e arrivando ci si rende conto del gran pienone. L'orario previsto è alle 21, ma entrando in sala con un certo anticipo trovo già il palco occupato da una cantante che si sta esibendo in piedi mentre suona un harmonium. Si tratta di Shilpa Ray che ha appena pubblicato un e.p. dal titolo esplicito: "It's All Self Fellatio". La sua è una musica che hanno definito "gothic burlesque", e per quanto le etichette lascino il tempo che trovano, definisce abbastanza il genere. La voce è davvero bella, ma alla lunga la dimensione sonora dell'accompagnamento al solo harmonium si dimostra un po' ripetitiva.

Nick Cave and the Bad Seeds
Si fanno attendere fino alle dieci meno un quarto, ma alla fine eccoli sul palco: Nick Cave & the Bad Seeds! Partono subito con "We No Who U R", singolo tratto dall'ultimo album "Push the Sky away". Bella e intensa come la successiva "Jubilee Street", con la quale il concerto si eleva a vette che si manterranno costanti per tutta la serata. Inizialmente il pubblico è ancora seduto e la scansione a spirale del brano innalza il livello emotivo ad ogni giro: qualcuno scandisce il tempo con le mani mentre il violino di Warren Ellis diventa sempre più ipnotico, altri iniziano ad alzarsi in piedi con gli occhi incollati a Cave che si muove sul palco come una fiera imprigionata. E poi... e poi anche il nostro Nick esplode in un salto improvviso verso la platea (date un'occhiata al video). E' la scintilla che rompe ogni regola, non ci sono più posti assegnati: tutti intorno al cantante che inizia a camminare sugli schienali delle poltrone, l'unico limite è rappresentato dalla lunghezza del cavo del microfono. I Bad Seeds costruiscono un muro di suono perfettamente arrangiato e la straordinaria acustica della sala permette di coglierne le sfumature. E' la volta di una cattivissima "Tupelo", tratta da "The Firstborn is Dead" del 1984, nella quale ho apprezzato una straordinaria sezione ritmica: dominata da Barry Adamson ritornato al basso nel centro del palco dopo tanti anni, e con Thomas Wydler alla batteria e Jim Sclavunos, che si alterna fra percussioni e xilofono. Dopo "Red Right Hand" (del '94) con una istrionica serie di movenze da rockstar consumata, tocca ad una struggente "Mermaids" (tratta dall'ultimo album) che Nick canta abbracciato ad una ragazza del pubblico.
Nick Cave
Con "The Weeping Song" (una delle mie preferite da sempre) si torna dalle parti del repertorio classico del gruppo (notevoli i ricami del canuto Conway Savage alle tastiere e di George Vjestica, che è alle chitarre nella parte europea del tour), suggellato dalla antica "From Her to Eternity", selvaggia come non mai.
Il ritmo forsennato dell'inizio lascia il passo alle atmosfere più introspettive derivanti da "The Boatman's Call" del '97. Gli occhi degli spettatori sono incollati a King Ink e alla sua band, impegnati nel rito della celebrazione del concerto rock: tocca alla tenue "West Country Girl", la ballata pianistica "People Ain't No Good" che sfocia nella malinconica "Sad Waters" (che è l'unica tratta da "Your Funeral... My Trial" dell'86) e "Into My Arms" nella quale Nick abbraccia il pubblico con una voce che è un insieme di tenerezza, calore ed emozione.
Non ce ne rendiamo conto ma si va verso l'epilogo, non prima di una fantastica "Higgs Boson Blues" seguita da "The Mercy Seat". Si chiude con la nervosa e potente "Stagger Lee" presa dalle "Murder Ballads" e l'ipnosi quasi messianica di "Push the Sky Away"a metà tra inno dell'anima e melodia salvifica.
Impossibile accontentarsi qui. Siamo ancora tutti talmente esterrefatti per il livello qualitativo del concerto che la richiesta dei bis è tutto tranne che una formalità. Dopo qualche minuto tornano sul palco per quattro brani i cui titoli già dicono tutto ad ogni conoscitore della band: "God is in the House" per piano e violino, "Deanna", l'elettro-acustica e coinvolgente "Papa Won't Leave You, Henry" con una signora-fan che sale sul palco in tailleur (!?) e la conclusiva "We Real Cool" con una nuova incursione sul palco: stavolta è un fan che è invitato a duettare (che emozione...) dal nostro Cave, ma che invece rivela una ben stridula vocina. E qui si chiude per davvero: due ore di concerto tiratissime nelle quali ho apprezzato un leader in piena forma che non si è risparmiato neanche un istante, ed una band di livello assoluto, che mostra la via del rock (quello vero) a tante proposte più recenti.
Dicevamo "imperdibile" all'inizio? Beh, non troverei aggettivo migliore per una performance con tanto cuore, pathos, tecnica e, non dimentichiamolo, canzoni bellissime.

NB: i brani sottolineati aprono un link su YouTube con registrazioni tratte da questo concerto. Le foto fin qu©Musacchio & Ianniello, possono essere utilizzata esclusivamente per l' avvenimento in oggetto o per pubblicazioni riguardanti la Fondazione Musica per Roma. La foto sotto è dalla pagina Facebook di Nick Cave.
Nick Cave prima del concerto a Roma

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